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domenica 19 aprile 2009

le ceneri di angela

Mio padre ha fatto la fame. Prima, durante e dopo la guerra. Colpa di un padre scapestrato, di una madre solo pronta a farsi compatire, di una famiglia come tante, allora, in un'epoca in cui il quarto comandamento veniva declinato sopra ogni cosa- botte, umiliazioni, sacrifici e sfruttamenti. Io e mia sorella, per contro, siamo figlie del boom economico, di quegli anni Sessanta ottimisti e riformisti, di un benessere collettivo, di un'epoca che ha portato a ritenere come diritti acquisiti quelli che, solo trent'anni prima, erano lussi da signori. Siamo nate in una clinica, abbiamo frequentato le scuole private più esclusive, non abbiamo mai dubitato che non saremmo arrivate alla laurea, con la stessa sicurezza con cui non dubitavamo che avremmo fatto le ferie, avremmo avuto il motorino, avremmo preso la patente. Intorno a noi c'era un mondo dorato, lo stesso che vedevamo nelle case dei nostri cugini, dei nostri amici, dei nostri compagni di scuola. L'unico affondo nella miseria era a Natale, quando, dopo il pranzo, mio padre cominciava a ricordare la sua infanzia. Il punto di partenza era sempre lo stesso- ora è Natale tutti i giorni, una volta, invece...- ma dove si sarebbe finiti, nessuno lo sapeva. Erano storie corali, con papà che cominciava e i nonni e i suoi fratelli dietro, a rinfrescargli la memoria, ad aggiungere particolari, a ricordare nomi e strade e visi e luoghi, e noi che stavamo a sentire, rapiti, da bambini, scocciati, da ragazzi, inteneriti e arrabbiati da adulti, mentre ci passavano davanti storie di miseria, di sopportazione, di soprusi, tutte accomunate dal disperato imperativo di dover sopravvivere, giorno dopo giorno. Non credo che saremmo riusciti a resistere a tanto dolore, però, se non fosse stato per il tono con cui venivano raccontate queste storie: la misura, la leggerezza, l'ironia e, soprattutto, lo sguardo pulito e senza malizia che avevano allora, quando, bambini, scappavano dalle bacchettate del maestro di scuola per andare a raccogliere i muscoli alla diga, o si attaccavano ai camion per farsi trainare con le biciclette, o si soffiavano sulle mani ghiacciate dal rigore del freddo del mattino, quando, prima della scuola, portavano in equilibrio sulla testa brioche calde da distribuire alle varie latterie- e guai ad assaggiarne una. Lo stesso sguardo- nostalgico, innocente, ironico- l'ho ritrovato leggendo “le Ceneri di Angela”, il libro più famoso di Frank Mc Court, che racconta la sua triste infanzia irlandese: “ naturalmente, è stata un'infanzia infelice, perché sennò non ci sarebbe gusto. Ma un'infanzia infelice irlandese è peggio di una infanzia infelice qualunque e un'infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora”. Prima di rendermi conto di avere in mano un capolavoro, ero già tornata indietro, ai pranzi di Natale e alle briciole sulla tovaglia di Fiandra, con papà che raccontava e gli zii che gli andavano dietro, e non c'erano più confini fra un'infanzia irlandese ed una italiana, e non perché i bambini siano gli stessi dovunque, ma perché identica era la stessa lezione di dignità di questi racconti. Una dignità che resiste agli assalti della miseria e dell'ignoranza, della superstizione e della crudeltà, una dignità che arriva dritta al cuore con fitte dolorose e pungenti, così come pungenti e dolorosi sono i tanti perché che si levano dalle pagine del libro – perché a loro, perché questa miseria, perché questa ingiustizia. La risposta è contenuta in ogni pagina del libro, sin dalle prime righe ma, come nei libri gialli, ci si arriva alla fine, commossi e inteneriti dalle vicende del piccolo Frank e del microcosmo che gli gira intorno- ed è una risposta piena di speranza, di fiducia nella bontà e nella solidarietà, in valori che travalicano tempi e luoghi e che sovvertono i parametri tradizionali, insegnandoti che miseria e povertà non sono sempre sinonimi, che la nobiltà d'animo è davvero ciò che conta di più e che ogni tanto,in un'epoca dove la letteratura è violentata nella grammatica, nei contenuti, nello stile, spuntano ancora dei grandi capolavori.

8 commenti :

  1. Molto, ma molto ma MOLTO meglio "L'apprendistato di Duddy Kravitz" di Mordechi Richter, noto ai più per il più celebre capolavoro "La versione di Barney"
    Le ceneri di Angela è perfetto per farsi passare la voglia di leggere, noioso, ripetitivo.
    Insomma, poteva piacere solo a mia moglie!
    ;-)
    Insomma, per tenere fede al titolo, se in possesso del libro, usatelo nel caminetto.
    Cosa, quello è Fahreniheit 451? Embè?

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  2. La recensione mi ha stimolato: mi è venuta voglia di leggere il libro (quando non si sa...). Comunque, sto invecchiando - lo dico in senso positivo: questa pagina mi ha suscitato una profonda commozione, cosa che ormai soltanto ciò che odora di autentico riesce a fare.
    Pinkhouse

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  3. e' la stessa cosa che è successa a me- e di rimando, la recensione è la versione " razionalizzata" di quelle emozioni ....
    te lo presto, va'
    ale

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  4. bel...andi! siamo proprio genovesi! oramai non posso più permettermi il lusso di voler possedere i libri: VIVA IL PRESTITO!soprattutto perchè non so dove metterne altri ed ho il figlio allergico. sono finiti i tempi in cui li compravo a chili: rimanevano non letti e incellophanati (?) per mesi e mesi e anni, ma li possedevo, erano miei... :-)

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  5. Anche io mi devo sorbettare i ricordi di mia madre, che, non ha avuto un'infanzia dorata,e, dopo anni ed anni... alle volte è dura. Certo che un'infanzia infelice irlandese e cattolica è quasi una catastrofe... grazie per la segnalazione, Ale!

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  6. Senza parole, sarebbero superflue. Questo post non lo avevo letto. Solo un sentito GRAZIE per aver riportato in testo una gran verità che non si impara in nessun banco di scuola.
    Per il libro non saprei...ma l'ho segnato insieme agli altri due della recente recensione.
    Scappo...che è pur vero che la mia giornata è iniziata prima del sorgere del sole ma adesso sono in arretrato con un paio di cosette :-P

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  7. uno dei miei libri preferiti...letto e riletto tante volte verso i 13 anni. mamma mia ale quanto leggi...sei speciale!
    e tutte le tue recensioni hanno la forza dell'intelligenza che conosce scova e sa trasmettere emozione.
    un bacio

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  8. Questo è un libro che mi ha emozionato dalla prima all'ultima pagina. In certi momenti ho pianto, a discapito del tono leggero e divertente dell'autore. Quando hi scritto che mi ricordava le storie di mio papà, era tutto vero: non solo per la miseria che veniva fuori dalla sua vita in salita, ma soprattuto dall'ironia, velata di malinconia, che è la stessa che ho riscontrato in questo libro. Per me, è un capolavoro.
    Grazie per tutto il resto, troppo buona
    ale

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