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domenica 11 marzo 2012

Donne Straordinarie : le suffragette (II parte)

Di Daniela

Da LaStampa 12-02-12:E. New w M. Leigh trionfanti all'uscita dal carcere (1908)
  
Abbiamo chiuso il nostro racconto di ieri con una nota brillante, ma con un risvolto crudo: i gioielli che richiamavano le sbarro di una prigione…
Le suffragette furono sempre trattate come terroriste: le loro dimostrazioni, in cui spesso cadeva qualche vetrina di troppo, il loro incatenarsi alle cancellate di Buckingham Palace, non appena fu chiaro che la Famiglia Reale era contro di loro, le loro azioni dimostrative violente, le rendeva veramente pericolose per il Governo. Arrivarono infatti a risalire su barche il Tamigi, fermandosi ad urlare insulti e slogan per il voto, sotto le finestre del parlamento in seduta; attaccarono i parlamentari che si recavano al lavoro, incendiarono le loro case, compirono atti vandalici nei più importanti Golf Clubs. Insomma colpirono tutto ciò che di più importante e sacro esisteva per un gentleman inglese di inizio secolo. 
 
Più di mille suffragette dal 1903 furono arrestate in seguito ai movimenti di rivolta e agli attacchi all’ordine costituito; ma loro non accettarono mai di pagare cauzioni per evitare questo trattamento: volevano dimostrare la loro fede incrollabile, per creare scandalo, per far parlare della "causa". In molti casi decisero di attuare lo sciopero della fame per richiamare sempre più attenzione e spingere l’intera nazione ad occuparsi di loro. 
E così ci siamo ritrovate all’inizio della nostra storia, a quel marzo 1912 in cui un nutrito gruppo di suffragette attacca direttamente l’ufficio del Governo, distruggendo la vetrata di ingresso grazie a pietre e martelli che improvvisamente appaiono dalle loro borse da passeggio. 

I poliziotti intervengono, cercando di bloccarle, ma loro rispondono colpo su colpo, picchiandoli e ribellandosi all’arresto. Finiscono in galera in 124 e Reginald McKenna, il Ministro dell'Interno, le definisce in Parlamento “Pazze pericolose” . Il gruppo è ormai fuori controllo, si teme la violenza di queste donne e lo Stato non vuole assolutamente offrir loro una martire: quindi, spesso si ricorre alla forza per nutrire le detenute contro la loro volontà. Il governo Asquith riuscì addirittura a trovare un metodo migliore. 
Fu emanato, infatti il “Cat and Mouse Act” (Prisoners, Temporary Discharge for Health Act), che consentiva di ricorrere ad un mezzo orribile : si lasciavano scioperare le detenute fino a farle arrivare quasi alla consunzione; all’ultimo momento, poi, si scarceravano, con la scusa della salute precaria. Nel caso fossero morte, non lo avrebbero fatto in cella, quindi non avrebbero causato imbarazzo al governo. Se invece fossero sopravvissute, non rimaneva che attendere un qualunque pretesto per rimetterle dentro! 
Ma nonostante queste attenzioni il martire, anzi la martire, ci fu ugualmente : il 4 giugno del 1913 Emily Wilding Davison durante dei disordini al Derby di Epsom, non si sa se per commettere un suicidio plateale richiamando l’attenzione del paese, o solo per dimostrare a tutti quanto le suffragette potevano arrivare vicino al re , si lanciò davanti al cavallo di Giorgio V in piena corsa e morì quattro giorni dopo. La cerimonia funebre, che attirò moltissime persone, si svolse a Londra e sulla sua lapide fu inciso uno slogan del WSPU, di così antica origine : “Deeds not words" (Azioni, non parole).
 Non dimentichiamo che in questo periodo grande era anche l’impatto del sapere che in nazioni remote e molto più giovani, grazie spesso proprio alle idee che in Inghilterra, la madrepatria, avevano preso corpo, già le donne avevano raggiunto l’obbiettivo del suffragio universale : la prima, in assoluto al mondo, fu la Nuova Zelanda che introdusse il suffragio universale, nel 1893 poi fu la volta dell’Australia, nel 1902 e, lo direste mai? In Europa la prima Nazione a concederlo fu la Finlandia, seguita da Norvegia (1907) Danimarca, Svezia e Russia, tutte nel 1917. 

Ci fu un altro aspetto particolare in questo momento contro le suffragette: dovettero subire infatti l’attacco deciso della stampa e del cinema. Il cinema realizzò in questi anni molti film, cortometraggi, melodrammi e cinegiornali sul movimento delle Suffragette, che rappresentarono un bacino di ispirazione grandissimo. Tendenzialmente questi mettevano alla berlina le protagoniste, raccontando storie di abbandono familiare, di crudeltà e di incapacità.
Naturalmente a mano a mano che gli Stati concedevano il diritto di voto alle donne, questo tipo di produzione perse importanza, ma spesso continuarono ad esprimere il concetto che il posto “naturale”, dove le donne dovevano stare, era la casa e non la cabina elettorale.
Sono documenti interessanti perché ci mostrano con chiarezza come le donne e le suffragette in particolare, venivano viste e considerate dall’universo maschile: specialmente nelle commedie e nelle satire cinematografiche, le gags comiche raccontavano di donne che odiavano gli uomini (mariti inetti, incapaci di qualunque gestione non solo della casa, ma anche della loro stessa persona, in assenza delle mogli, madri, sorelle o figlie) e bambini confusi e perennemente sporchi ed in lacrime.
 I racconti più “seri” invece ci mostravano le suffragette come pericolose sovversive, disposte a distruggere, senza sensi di colpa la società del tempo: la famiglia, soprattutto viene mostrata in grave pericolo in questo momento, conformandosi in questo al pensiero continuamente espresso, come dicevamo, dalla stampa, dal mondo della politica e dalla chiesa, preoccupati dalla piega presa dagli eventi e da una ipotetica femminilità perduta da virago combattenti. 
Basta esaminare, grazie al sito Rai il film del 1912 intitolato “A lively affair”, ovvero “una vicenda animata”. Il film, girato a Chicago, attacca le Suffragette (in america, come vedremo il movimento è molto seguito) raccontando in breve le vicissitudini di varie donne che, per partecipare ad una riunione "politica", abbandonano la famiglia a se stessa: una di loro lascia il figlio neonato ad uno sconosciuto, un’altra deruba una bimba della sua bicicletta, una chiude a chiave i figli soli in casa, l’altra molla il piccolo in braccio al marito senza sprecare parole.
La storia prosegue deridendo le donne che, dopo aver abbondantemente mangiato, si mettono a giocare un’accanita partita a poker, ignorando le “impossibili” condizioni in cui tutte avevano abbandonato i loro cari. Ovviamente entra in scena la Polizia, invocata dalla bimba derubata e le donne vengono tutte portate in carcere, dopo accanite lotte, mentre i mariti, felici, brindano all’evento, sfilando trionfanti davanti alle carcerate  prendendole in giro per di più. E le donne? Loro “sad but wiser” (più tristi ma più assennate) rimangono dietro alle sbarre!
Ma a tutto questo rispose nel 1913 E.Pankhurst e H. Stanton Blatch con “What Eighty Million Women Want?” che utilizzarono a loro volta il cinema per promuovere le proprie idee, cercando di rendere chiaro ed evidente che che le donne nonostante la loro emancipazione potevano rimanere femminili (qui la dimostrazione di cui abbiamo parlato, dell’importanza dell’eleganza e della sobrietà nel vestire) e legate a famiglia e tradizioni. Ottennero una relativa attenzione, ma dimostrarono che comunque qualcosa anche in questo campo poteva essere poteva essere fatto.
A più tardi
Dani

5 commenti :

  1. bellissimi i tuoi post storici e soprattutto su questo argomento così interessante e poco conosciuto!

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    1. Grazie Francesca, mi fa piacere che tu li trovi interessanti :-))))

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  2. ce nè ancora? che meraviglia...
    se non lo conosci già, ti suggerisco il libro di Tracy Chevalier QUANDO CADONO GLI ANGELI, tratta proprio di questo argomento e la protagonista è una donna di nobile estrazione che sfida il carcere pur di portare avanti la lotta femminile
    a dopo allora....

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  3. mannaggia mi è scappato un apostrofo, leggi ce n'è....

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    1. non l'ho ancora letto.... ma sarà mica la parte "libresca" di "angeli d'acciaio"? Perchè almeno il film l'ho visto.... Ma rimedierò anche con il libro!! Bacioni e grazie :-)

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