Prima di incontrare l'ingegnere, una delle mete più gettonate dei miei viaggi era la Francia. Non Parigi, città a cui mi lega oggi un amore tardivo e malinconico, ma che da giovane ho sempre trovato o troppo arrogante o troppo ruffiana, ma la Francia intera. Non si trattava solo di ovvie ragioni di vicinanza: anche se con la Provenza e la Costa Azzurra amichevolmente del tu, ero talmente rapita dalle bellezze di tutte le regioni di questo Paese che, appena possibile, mi munivo di cartina, guide e indirizzi giusti e partivo per uno di quei massacranti tour de force che a casa mia- e per fortuna, solo da me- si chiamano viaggi.
Ero così innamorata di questo Paese che facevo poco caso ai suoi abitanti. Neanche sotto tortura, all'epoca, avrei confessato che, di tutti i popoli presso cui ero stata, come turista o come ospite, i Francesi erano quelli che mi avevano fatto sentire meno a mio agio. Davo la colpa ad una lingua che non avevo mai voluto imparare, a vecchie ruggini dei nostri bisnonni, azzardavo ingiuste analogie anche con noi Italiani e preferivo sorvolare sui pruriti da grandeur: se volevano credere di avere i formaggi migliori, i vini migliori, la cucina migliore, che facessero pure. A me bastava potermi beare ogni volta delle meraviglie della loro terra- e della loro innegabile capacità di saperle valorizzare.
E così, quando si trattò di progettare la prima vacanza a tre, per me fu naturale proporre la Francia, come meta più appetibile- e un giro in Normandia e in Bretagna, per giustificare con la distanza le tre settimane di assoluta beatitudine che, ne ero certa, erano lì pronte ad attendermi, appena avessi varcato la frontiera.
Che io non sia tipa da azzeccare previsioni, penso si sia ampiamente intuito, in questi anni di diario pubblico: ragion per cui, non mi aspetto nessuna sorpresa se elenco tutta la serie di magagne a cui andammo incontro in quella vacanza che culminarono nello sfasciamento del cassone nuovo dell'ingegnere, parcheggiato fra la piazza della cattedrale e il posto di Polizia dell'amena città di Quimper- Bretagna.
Che è posto dove non succede mai niente.
Dove l'ultimo atto di delinquenza fu compiuto a danno di una tribu di Bretoni corpulenti e con le treccine.
E dove quindi si può lasciare la macchina nel parcheggio di fronte all'albergo, che abbiam girato il mondo senza danni, cosa vuoi che succeda a lasciarla qui.
Il "cosa vuoi che succeda" fu un'intera fiancata della BMW sfasciata con un tombino, per l'occasione divelto dal marciapiede e saccheggiata di tutti gli ammenicoli che si trovavano all'interno, sommamente inutili per la fauna locale (ditemi voi cosa se ne fa un Bretone di un telepass italiano) e sommamente indispendabili per noi (vi dico io cosa se ne fa un Italiano di un telepass).
Ma la cosa più fastidiosa, al di là della vacanza bruscamente interrotta e di un viaggio di ritorno a dir poco allucinante, con autostrade interdette da portiere bloccate e finestrini di plastica, fu il trattamento che ci venne riservato dall'intera popolazione indigena, istituzioni incluse.
Intanto, nessuno aveva nè visto nè sentito nulla: tombino staccato dal marciapiede, fiancata sfondata, finestrini in frantumi evidentemente non provocarono nessun ruomore, visto che non si allertarono neppure i solerti membri della Gendarmerie di fronte: in compens, ci toccò restare un'intera mattinata al posto di Polizia, per venire a capo della lingua in cui doveva essere redatta la denuncia. In Italiano no, che non abbiamo l'interprete, in Inglese no, che non siete di madrelingua e comunque non abbamo l'interprete, va bene il Francese e non avete l'interprete? arrangiatevi. L'interprete, nella fattispecie, fu la solita madre poliglotta, a cui arrivarono telefonate iper tranquillizzanti, del tipo "mamma, va tutto bene non ti preoccupare, come si dice cruscotto in Francese? - e catarifrangente?- e un figliodibuonadonnahadiveltountombinodalmarciapiedeecihasfasciatolamacchina,come si dice, questa cosa qua?"
Sorvolo su tutte le peripezie per riuscire a rabberciare l'auto alla bell'e meglio, la via crucis del ritorno- siamo stati fermati a tutte le stazioni- l'indisponenza di chi stava a guardare senza darti una mano, quasi che i delinquenti fossimo noi e non uno del luogo. Mi limito a dire che, da allora, mio marito diede la stura ad una atavica antipatia per i Francesi che, a suo dire, aveva represso per amor mio ma che da quel momento dilagò in modo esponenziale, finendo neanche a dirlo per coinvolgere anche la figlia, in perenne ricerca di una ragione plausibile per non studiare qualcosa.
E così, adieu France- o, quanto meno, adieu ad un cartellino timbrato tutti gli anni, più volte l'anno. E bienvenu, per contro, ad un lieve contagio anche da parte mia, complice anche un'età meno incline alla sopportazione (correggo: meno che mai incline etc etc) e qualche episodio non proprio adatto a ribaltare la situazione (da Zidane alla Carlà, tanto per dire).
Eppure, ci son cose in cui ancora li ammiro- e su tutte, l'innata capacità di valorizzare tutto quello che fanno, a cominciare dai nomi con cui battezzano anche le cose più banali e più semplici, ma che si caricano immediatamente di echi fascnosi e seduttivi, appena passano dalla nostra lingua alla loro.
Prendete queste creme, per esempio. Da noi, si chiamano "budini"- ed evocano immediatamente un dolce che, nel migliore dei casi, è da cucina di tutti i giorni, quando non è roba da ricostituente per malaticci o da piccolo chimico. Da loro, si chiamano petit pots- ed è tutta un'altra storia.
Se poi ci mettete la lavanda e scopiazzate impunemente la ricetta da quell'altro straordinario figlio di questa terra che è Joel Robuchon, vi vien fuori una roba da urlo- e un "quelle effigie de cochon" non ve lo toglierà nessuno!
POTS DE CREME A LA LAVANDE
da qui
Doverosa premessa: finalmente questa ricetta partecipa al contest di Cinzia e Valentina, Colors and Food, che per il mese di Giugno è dedicato ai petali nel piatto.
250 ml di latte fresco intero
1 cucchiaio di fiori di lavanda secchi
4 tuorli
40 g di zucchero semolato
350 g di creme fraiche liquida- io ho usato della comune panna fresca
Far bollire il latte, versarvi i fiori di lavanda, far riprendere il bollore, spegnere e lasciare in infusione per 10 minuti.
In una terrina, montare i tuorli con lo zucchero fino a quando saranno gonfi e spumosi, unire la panna e il latte con i fiori di lavanda, amalgamare bene e filtrare
Disponete un foglio di carta da forno sul fondo di una cocotte, dello stesso diametro della cocotte, e fate qualche taglio per farlo aderire bene. Disponetevi poi 4 ramequin e versate dentro il recipiente (non nei ramquins) dell'acqua, fino a metà della loro altezza.
Riempire i ramequin con la crema. mettere la cocotte sul fuoco, portare quasi al punto di ebollizione (l'acqua deve fremere) e infornare per circa trenta minuti
Lasciar raffreddare prma di servire
note mie
Vado velocissima, perchè dopo lo scorso MTChallenge di budini dovreste averne fin sopra i capelli e ci manca il ripassino supplementare delle mie annotazioni.
il colore viola è un derivato di un po' di colorante (lilla, ad essere precisi). Nature, è giallino.
Al posto dei fiori di lavanda, potete usare UNA GOCCIA di essenza. Sempre di lavanda, of course. In erboristeria, vi dura un'eternità, anche perchè guai ad esagerare. Una goccia in più- e siete in apnea, nel cassetto delle camicie da notte di vostra nonna
Tutti 'sti numeri per la cottura a bagnomaria mi sembrano eccessivi: scaldate il forno e, quando è a temperatura, scaldate l'acqua. Versatela quasi bollente in una teglia, metteteci dentro gli stampini già pieni e crema e subito a cuocere.
il vetro dei vasetti dello yogurt è ok per queste temperature. E' probabile che sulla superficie si formi una crosticina brunita: si leva via facillmente con un cucchiaino.
Manco da un pò e scopro che in fondo in fondo quello che volevi dire ma che non hai avuto il coraggio di esternare non è tanto che avresti di gran lunga preferito la mia grafia sugli sportelli dell'auto che magari davano un tocco naif al viaggio quanto che avresti volentieri apprezzato la mia presenza in loco per una bella scritta "fluo" sulle mura del municipio dell'ameno comune. Chiaro che avrei usato il vernacolo partenopeo...in versione d'oltrealpe perchè fosse chiara la provenienza dell'autore ma senza trascurare un messaggio comprensibile...che occhio e croce si sarebbe attestato in religiose affermazioni sui defunti locali e sulle loro anime.... :D ahahahahahahaha
RispondiEliminaMi perdoni se non amo la lavanda ed in cucina la trovo un pò troppo chic per un grossolano come me.... :D
PS
RispondiEliminaPoi confessa anche che ti sono mancato in questi giorni...è evidente anche se non lo hai detto :P eheheheheheh
OMG la devo fare! Mia madre l'adorerà!
RispondiEliminache brutta avventura! Anche a me piace la Francia, nonostante un viaggio da ragazzina con la famiglia e mia mamma (che da ragazza avevano scambiato per madrelingua francese) e che litigava con gli impiegati della metropolitana che "non la capivano", poi sono tornata più avanti e mi sembravano quasi gentili, ma magari erano turisti come noi! :-D
RispondiEliminacomunque sulla cucina e sulla pasticceria in particolare somma ammirazione!
che avventura! anche io subisco il fascino della francia e molto meno quello degli abitanti, antipatici e spocchiosi come pochi. (seguiti, per quanto mi riguarda, dai tedeschi...) Ricordo ancora la faccia altezzosamente da puzza sotto il naso di una commessa della boutique maille a Parigi. Vendeva senape in vasetti, eppure sembrava che trattasse diamanti...
RispondiEliminaIl budino alla lavanda non credo incontrerebbe il favore della famiglia, ma se sostituissi i fiori con qualche coccia di essenza di mirto forse forse.... ciao e buona giornata!
tralascio i commenti sulla Francia [che, poveri francesi, godon sempre di pessima stampa :)] per fare una domanda un po' idiota e di cui dovrei vergognarmi ma vabbé, la faccio: dove li trovo i fiori di lavanda secchi? che qui nel Nord della Francia mica posso andarli a raccogliere, ahimè, e quest'estate niente Provence (e neanche Corsica, ahimè) ma ritorno a casa... ma forse alla fine davvero la scelta migliore è quella dell'essenza da comprare in erboristeria?
RispondiEliminatralascio i commenti sui francesi che, ahimè, godon sempre di pessima stampa per fare una domanda un po' idiota ma vabbé, la faccio lo stesso: dove li trovo i fiori di lavanda secchi? che qui nel Nord (della Francia) mica posso andare a raccoglierli e questa estate non sarà né Provence né (ahimè, bis) Corsica ma ritorno economicamente a casa... o forse davvero la scelta migliore è cedere all'essenza di lavanda d'erboristeria? hum...
RispondiEliminaAnche i questo ci somigliamo, di peripezie in terra di Francia ne abbiamo passate anche noi, negli innumerevoli passaggi in camping. Anche se l'episodio che somiglia tanto al tuo, ci è capitato in Romania ma lì ce lo aspettavamo un po' di più.
RispondiEliminaE' indubbio che la Francia come paesaggi, città e dintorni, susciti spesso ammirazione... come è indubbio che gli autoctoni siano spesso restii ad andare incontro all'ospite straniero.
Questi budini mi affascinano perchè, a differenza di Gambetto, amo la lavanda (avevo già fatto outing in quel senso) e mi sa che, per coccola personale, sacrificherò l'ultimo pizzico di fiori che mi sono rimasti...
Buona giornata
Nora
Potrei condividere tutto quello che hai scritto. Io che abito vicinissima al confine con la Francia, nutro un profondo odio-amore per questo paese. E lasciamo perdere la maleducazione di certi francesi che si comportano qui da me come se possedessero la città (ovviamente non sto facendo di tutta l'erba un fascio, eh), o quelli che, quando oltrepassiamo il confine, fanno finta di non capire quello che dici solo perchè sei italiano. Però c'è da dire che la loro terra è assolutamente meravigliosa, dal nord al sud, dall'est all'ovest, e che come hai detto, sanno valorizzare ciò che hanno (al contrario di noi, il più delle volte...).
RispondiEliminaMi segno la ricetta perchè questo budino -no, scusa, questo petit pots - sembra sublime!
Un bacione, GG
ma tu vallo a sapere che i miei ex-budini fuori concorso si potevano chiamare "petit pots de petit pois"... anche se i due termini "petit" e "pois" in italia non li usa mai nessuno nella stessa frase :)
RispondiEliminaCondivido tutto quello che hai detto. Adoro la Francia ma un po‘ meno (molto meno) i suoi abitanti. Quello che ancora non ho capito e se sono così con tutti o se a noi italiani viene da parte loro riservato un trattamento particolare. Mah...
RispondiEliminaQuesti budini sono speciali veramente!
Ciao
Mari
stasera son messa nn malissimo, di più: passo domani e rispondo a tutti!
RispondiEliminabuona serata
ale
Che dire, come al solito qualcosa da provare!!
RispondiEliminaA Quimper ???? ma è bestiale !!! là non è mai successo niente e, dalla vostra fiancata, niente è più successo, nè succederà per i prossimi decenni !!! che peccato, che si sa che quanto succede in vacanza è orribilmente amplificato, in positivo come in negativo.
RispondiEliminaAbbiamo fatto i turisti per 3 anni in giro per la Francia: bellissimi ricordi, mi manca molto... Posti magnifici, specie DOPO che Caterina de Medici li ha dato giusto due dritte di civiltà.... Non ricordo sgarberie inveterate, il coniuge per fortuna se la cava bene con la lingua.
In ogni caso, da Zidane in poi niente potrà più essere come prima !!!
Maria Chiara
carissima, è sempre un piacere leggerti; pur anche con le peripezie del caso, mi hai fatto troppo sorridere.. aggiungerei a proposito del nome, che contro il raffinatissimo petit pots, il nostro semplice budino trova il suo etimo in budello (dal famoso post degli "indizi" dell'MTC scorso, appunto!)
RispondiEliminaScherzi a parte, sono bellissimi e poi mi hai fatto venir voglia di riprovarci, disdegnavo dall'ultima volta che, fatta per curiosità la pannacotta alla lavanda, mi dicevano appunto che pareva di mangiare un bagnoschiuma :( che ci fosse scappata UNA goccia in più?
bacitantii!
Insomma, sta vacanza è stata una vera odiessea e ha ridotto al contagocce la vostra entrata in suolo francese...e chi non avrebbe reagito così?? dico!!
RispondiEliminahai ragionissima nel dire che il francese armonizza ogni cosa e rende chic anche la più grande banalità, un'arte tutta da imparare, vero?
queste cremine sono dei piccoli gioielli, da provare e da imitare;)
un abbraccio, Vale