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lunedì 17 gennaio 2011

Le Braci- Sandor Marai

Le Braci è un libro immenso.
Che Sandor Marai scrive col bisturi, anzichè con la penna.
Sul momento, il lettore non se ne accorge, preso com'è prima dalla tensione di una narrazione magistrale, con un dosaggio dei tempi sicuro, calibrato e sapiente, e poi dall'atmosfera decadente e voluttuosa che si insinua fra le pagine del libro, nel particolare di un oggetto, nell'istantanea di un volto, nell'indugio su un rapido gesto, una piccola mania. Ma poi,  quando si arriva alla fine, e  la tensione si allenta e la concentrazione si distende , è allora che ci si rende conto che ormai è troppo tardi per opporre resistenza alla forza di una scrittura e di una storia di rara potenza
Le Braci è l'impitoso svelamento delle illusioni.che ci aiutano a sopportare la vita.  E' illusoria l'amicizia che sembra essere il tema portante del libro, è illusorio il sistema di valori in cui i protagonisti sono cresciuti, sono illusorie le maschere che noi indossiamo per nasconderci a noi stessi, prima ancora che agli altri. Ed è illusoria anche la stessa struttura della narrazione, tutta giocata su un macroscopico equivoco, per cui si crede che  la storia sia  interamente legata ad un disvelamento finale: due amici che hanno un conto in sospeso da 41 anni e che ora, finalmente, sono arrivati al momento della verità. Lo dice l'autore, sin dall'inizio: quarantun anni e quarantatre giorni, tutti vissuti nell'attesa di questo momento. E tanto basta, perchè i sensi del lettore stiano all'erta, concentrati in quello che dovrebbe essere il punto cruciale della narrazione, il momento tanto atteso, verso cui tutto concorre.
Da lì  in poi, è solo tensione allo stato puro, in un climax perfetto, in cui Marai ci guida con la maestria della guida esperta, consumata, che si segue con fiducia crescente, ad ogni pagina, convinti che ci porterà dove ci ha promesso. E mentre la tensione cresce, si restringono le prospettive: degli spazi fisici, anzitutto, passando dalla maestosità di una natura che, nei suoi silenzi, sembra condividere il peso di questo segreto, ad una dimensione sempre più claustrofobica, con l'azione che si concentra in due sole stanze del castello, e di quelli della memoria e dell'introspezione che si assottigliano fino a diventare acuti, acuminati, taglienti. Un bisturi, appunto, con cui Marai seziona tutte le profondità dell'animo umano, in una lucida  impietosa e quasi parossisitica disamina del comportamento umano e delle ragioni che lo spingono ad agire.E si scopre che la meta verso cui si tende è un'altra, tutta diversa da quella promessa. Non la soluzione di un mistero, ma la conferma di un Mistero, molto più ampio e complesso ed oscuro, quale è appunto il senso della nostra vita.
Quello che sarebbe dovuto essere un chiarimento ed un confronto aspettato per una vita si risolve in un lungo monologo di Heinrik, l'amico tradito, mentre  le scarne battute del traditore segnano solo delle pause, o  meglio delle desolanti adesioni alle conclusioni a cui sono approdati quarantun anni di attesa, trascorsi nell'anelito ad una verità che aspira ad una vendetta: e cioè, che è stato tutto inutile.
E' stato inutile rinunciare a vivere, come hanno fatto entrambi, seppure in modi antitetici, l'uno cercando la fuga  nei tropici, l'altro rinchiudendosi in un'ala del castello, sacrificando se stessi alla passione: è stato inutile non perdonare, non rinunciare all'orgoglio, non deporre la presunzione, in nome di valori che non esistono più e che non lasciano posto a null'altro, se non alla consapevolezza amara che l'uomo comprende il mondo un po' alla volta e poi muore. E che di quella passione per cui ha amato, odiato, sfidato la vita e la morte e che costituisce l'essenza stessa della sua vita e qi quella di tutti non restano che le braci di un fuoco ormai spento.
Alessandra
Prossima rece: Catherine Dunne, Se stasera son qui

17 commenti :

  1. bella rece (come sempre, cara alessandra!) di un capolavoro, un libro che ti entra nella pelle e che non puoi più scordare. l'ho letto diversi anni fa, fra un pochino lo riprenderò...

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  2. Beh, ma Sandor Marai è un gigante!!!. Io di suoi libri ne ho letti un certo numero e ....siamo su un piano ...mica da ridere!!!

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  3. L'ho letto qualche anno fa anche io, quindi non avrei mai potuto farme una recnsione così lucida. Ma anche lo avessi letto ieri non avrei potuto trovare parole più adatte. Hai centrato in pieno il messaggio e la forza della narrazione.
    Inoltre trovo che un uomo (per la sua diversa capacità di approcciarsi all'amicizia) possa coglierne persino quelche cosa in più rispoetto a una donna. Che ne pensi?

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  4. La recensione è magistrale come sempre... ma io questo libro l'ho odiato! Dovrei forse rileggerlo?

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  5. rispondo a tutte, insieme.
    e' la prima volta che leggo un libro di Sandor Marai e di sicuro non sarà l'ultima. sul perchè mi sia decisa così tardi, si potrebbe dire molto, ma sarebbe tutto fuori luogo, qui sopra. a me basta averlo preso in mano nella stagione giusta ed essermelo goduto fino in fondo. Lo dico a ragion veduta perchè Stefania non è la sola che ne abbia tratto una brutta impressione: così come all'età di mia figlia io non avevo retto dostoevskij, che lei invece sta amando senza alcuna misura. Secondo me, con certi capolavori, è solo questione di tempi. Sul fatto dell'uomo che parla di amicizia meglio di una donna, penso che sia il tipo di esperienza, ad essere diverso. Subito dopo le braci ho letto un libro della Dunne sull'amicizia fra donne e, come mi capita spesso con questa autrice, mi ci sono rivista molto. Noi donne siamo capaci di essere amiche anche senza "travasarci" in tutto e per tutto nel legame che si crea con l'altra persona. Non è detto che tutte lo facciano, ma di sicuro siamo capaci di farlo, tenendo una nicchia privata e solo per noi, senza che questo metta in discussione la bontà dei nostri sentimenti. In questo senso, la "lealtà"diventa qualcosa di meno assoluto- così come meno assoluto è il tradimento. E meno analitica e impietosa è la narrazione, di conseguenza. Senza contare il valore aggiunto di chi scrive- che in questo caso è scrittore di razza purissima...

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  6. Voglio leggere Le Braci, qualche mese fa lessi La donna giusta e mi colpì immensamente. Anche lì il tema delle illusioni e dell'inutilità torna a farsi strada, stavolta in un triangolo amoroso che si dipana nel corso di molti lunghi anni. Te lo consiglio. :)

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  7. Grazie, prendo nota perchè di sicuro leggerò molto altro, di questo autore.
    ciao
    ale

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  8. Non conosco questo autore, ma dalla presentazione che ne hai fatto sembra interessante. Lo prenderò, ciao e grazie del consiglio
    Cinzia

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  9. Insieme a Montedidio di De Luca è IL libro del mio 2010, uno di quelli che salverei buttandone almeno altri cinquanta dalla torre...

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  10. l ho letto appena uscito, su consiglio di una delle ragazze alla Feltrinelli e non mi era piaciuto...Annoiata dalla storia, anche un po' lenta-a mio avviso - non ho avuto modo di apprezzare uno stile che mi dite eccelso... Forse non era il momento giusto.Segnalo per contro LA PORTA, di Magda Szabò : scrittrice ungherese (1917-2007) a lungo sconosciuta ad Ovest, il suo stile ricorda i classici russi dell 800 e la storia -oltre che enigmatica - avvince delicatamente, pur rimanendo inverosimile sino alla fine. Fammi sapere.

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  11. Cinzia, prego. Qui è uno scambio continuo, per cui se hai qualcosa da segnalare, ci fai solo un favore.

    Virò, visto che è piaciuto anche a me? :-) e ne butterei un centinaio, dalla torre, se è per questo...

    Emmetì, lo sapevo. Infatti, il cenno ai momenti giusti era per te ;-) la Szabò è in lista e da quello che midici mi intriga già parecchio.
    Ciao
    ale

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  12. Grandissimo Marai! e perfetta - come sempre - la tua recensione.
    Marialuisa

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  13. Ho finito appena oggi di leggerlo, purtroppo non l'ho apprezzato così tanto. Lo stile è elegante, fluido, impeccabile. L'ambientazione affascinante. La prima parte, in cui viene descritta la storia di Henrik da bambino, le sue esperienze in collegio, è molto bella, intensa. Poi la vendetta si compie, più sul lettore, a mio parere, che contro Konrad. Dopo il bellissimo colpo a tradimento in cui viene descritta (mirabilmente) la scena di Henrik che si accorge che Konrad sta per ucciderlo, e poi passa l'attimo e ciò non accade, la storia si trasforma in un monologo pedante e solipsistico, che non ammette e, anzi, abortisce le risposte. Le attese domande sono una naturale, l'altra pretenziosa e, ripetom, pedante. Credo che sia stata una scelta stilistica. Non mi è piaciuta, tutto qui. Il libro comunque è, quindi, bello a metà, per quanto mi riguarda.
    Gianfranca Quaraglia

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    1. Che bel commento, Gianfranca, grazie!
      Se hai dato un'occhiata ai commenti, più sopra, anche Maria teresa aveva espresso le tue stesse perplessità: fra l'altro, mi sembra di ricordare che ne avesse fatto anche una rilettura, che alla fine aveva ulteriormente confermato il suo giudizio.
      Io, invece, ho riletto quello che avevo scritto :-), perchè non lo ricordavo: il romanzo, invece, me lo porto nel cuore. Oggi forse scriverei cose diverse, ma sempre positive.
      Però, il confronto ci sta- eccome se ci sta. Perchè comunque questi sono romanzi "spessi", che possono piacere come no, ma su cui la discussione ha comunque senso. a maggior ragione se espressa con commenti come il tuo, che sono un'altra fonte di arricchimento per il nostro blog.
      Grazie ancora
      ale

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  14. Grazie a te!!! Ed è esattamente questo lo spirito che ho colto nel tuo post: stimolare la discussione, la voglia di portare ognuno il proprio pezzettino di visione della stessa cosa. Questo ci regala la possibilità di leggere più volte :) A presto Gianfranca

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  15. Ho letto il libro alcuni anni fa e non mi ha entusiasmato. Definirei anch'io il monologo pedante e ampolloso. Lo stile è impeccabile, è quello di inizio secolo, sicuramente molto elegante come si addiceva ai romanzi dell'epoca. Credo sia significativo il fatto che lo apprezziamo ancora, anche se non "va più di moda", segno che un libro ben scritto è sempre un piacere per i sensi. Purtroppo se una casa editrice ricevesse oggi un romanzo scritto in uno stile ricercato lo respingerebbe definendolo "antiquato", preferendo libri pieni di parolacce e di figure retoriche stridenti e di dubbio gusto, che rispondono ai dettami della cosiddetta "scrittura creativa".

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    1. Un libro ben scritto è anche un libro su cui vale la pena di confrontarsi. Perchè anche le categorie di giudizio soggettive, che giocoforza entrano in gioco, sono comunque temperate da pregi oggettivi che, nel caso di Marai, riguardano lo stile. E' il motivo per cui la lettura di un classico fa sempre bene. Anche senza arrivare in fondo, intendo: ma avere nella mente le risonanze di periodi corretti, di lessici ricercati, di struttre sintattiche robuste non può che giovare allo spirito. Certo, se poi si vuol far lo scrittore, è bene dimenticarsi tutto e magari usare anche le k al posto della c dura...:-)))
      grazie per il tuo commento e buona giornata
      ale

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