Mio padre era l'unico uomo, in mezzo a quattro donne. Tre delle quali, letteralmente adoranti. La quarta- la suocera- aveva dovuto metterci un po', prima di approdare agli stessi lidi: e se i modi erano quelli bruschi e orgogliosi di chi non deve chiedere mai scusa, la sostanza era la stessa: quel genero così al di fuori degli stereotipi su cui aveva modellato il marito ideale per sua figlia era un uomo unico e speciale.
Mio padre, per contro, ci trattava come delle regine. Ciascuna aveva il suo regno, le sue prerogative, le sue peculiarità- ed era questo, che ci faceva sentire, al pari suo, così uniche e speciali. La sua non era una stima incondizionata, l'amore cieco di un marito innamorato e di un papà che adorava le sue bambine: o meglio: lo era, ma era così perfettamente sintonizzato sulle nostre caratteristiche, sulle nostre diversità, da tramutarsi per questo in una risorsa inesauribile di sicurezza nei nostri mezzi e di consapevolezza della nostra dignità. Di bambine, da piccole, di ragazzine poi e di donne, una volta cresciute.
Io sono stata fra le prime donne al mondo a svolgere la professione che faccio: o la prima o la seconda, per la precisione. Non ci sono dati certi, perchè a quei tempi non era cosa da sbandierare, l'assunzione di una donna in quell'ambiente e in quel ruolo- e questo dà la misura del carico di impegno, di sacrificio, di determinazione, di preparazione e di dedizione al lavoro che hanno fatto di me una sorta di apripista alle altre colleghe che sono state assunte successivamente. Quello di cui vado davvero fiera, però, non è tanto l'aver raggiunto un traguardo del genere, dieci anni fa, quanto averlo fatto da donna. Senza indossare le palle, cioè. Senza dover sbandierare l'appartenenza dei miei organi riproduttivi. Senza dover annichilire la mia femminità in gessati maschili e in mocassini stringati. Ho varcato la soglia del mio ufficio con i tacchi, le perle al collo e la ferma convinzione che qualsiasi percorso professionale avessi dovuto affrontare, lo avrei fatto con tutta me stessa- e quindi, con tutti i miei ruoli, che mai sarebbero stati risucchiati da quello della donna in carriera. Accanto ai miei titoli di studio, c'erano mia figlia, mio marito, la mia casa, il mio tempo libero, la mia vita, insomma- e questo era il solo terreno su cui si sarebbero potute svolgere le trattative, di qualsiasi genere fossero.
Va da sè che sia stata dura. Durissima, a dirla tutta. Tanto dura che, se ci ripenso, a volte mi chiedo come abbia fatto a non cedere e a non farmi travolgere dall'ondata di pregiudizi e di discriminazioni che per anni ha preceduto il mio nome. La risposta ce l'ho oggi- ed è grazie a mio padre. E a quell'amore tutto speciale, che mi ha saputo dare. A quello sguardo così orgoglioso, ogni volta che posava gli occhi su di me. A quelle lezioni di vita, fatte di severità, di rigore, a volte anche di intransigenza, con cui ha temprato la mia dignità e mi ha reso in grado di difenderla, in ogni momento della mia vita.
Anche se menuturistico è stato un blog che ha raccolto tante storie familiari, non è mai stato un vero e proprio diario. Ho sempre raccontato il raccontabile, passandolo attraverso il filtro della finzione narrativa e riservando il mio privato per me e per la cerchia più ristretta delle persone a me più care. E l'unica volta in cui ho rotto questo cerchio, aveva in sottofondo un deciso "mai più". Se torno oggi in argomento, è solo perchè ho deciso di rispondere all'appello lanciato in rete da D.I.Re, donne in rete contro la violenza, il sito che raccoglie i 60 centri sparsi su tutto il territorio nazionale, il cui impegno è diretto al cambiamento di quelle storture culturali che sono alla base dell'ineffabile ondata di violenza che in questi mesi si sta abbattendo sulle donne. Lo faccio da privilegiata, ma con la consapevolezza che l'educazione di cui io ho goduto altro non è che un diritto di tutte le figlie, le mogli, le compagne, le madri di questo mondo. Perchè una cultura che dà voce alle istanze tutte contemporanee dell'accettazione della diversità non può prescindere dal riconoscimento della diversità primaria, che è quella dei sessi- e non può nè deve coniugarla in termini di inferiorità. Nè una società che vuol dirsi aperta all'accettazione dell'altro, può e deve trascurare l'affermazione dei diritti fondamentali dell'umanità, che il nostro status di "persone" fa sì che ci vengano riconosciuti, in modo equanime e assoluto.
Mi fermo qui, perchè odio la retorica e temo di finirci in mezzo, indebolendo con un'enfasi fuori luogo la forza di un messaggio che mai come oggi ha bisogno di essere ribadito, in modo forte e chiaro, da tutti. Il volontariato mette a disposizione un'infinità di canali per poter contribuire a questo progetto e sono nate anche iniziative solidali, per sostenerlo in modo concreto. Non amo gli slogan, trovo patetica la "festa della donna", sono contraria alle quote rosa, che trovo melensamente discriminanti. Quello di cui abbiamo bisogno non è lo zuccherino per addolcire la pillola amara, ma della forza per dire di no a chi si ostina a propinarcela. Ed è solo dentro di noi, che dobbiamo imparare a cercarla.
Buona settimana
Ale
Non so chi sarei adesso se non avessi avuto la mia famiglia...mio padre vecchio stampo, severo e dolce allo stesso tempo si è sacrificato per tutta la vita per farci studiare e non farci fare la vita che lui aveva avuto. Figlio della guerra non ha potuto studiare e l'ha fatto, da solo, nel corso della vita studiando sempre e per noi 3 voleva che potessimo sfruttare questa possibità. Ogni donna meriterebbe simili esempi, io sono fortunata...
RispondiEliminaAle, grazie per aver condiviso con noi questi ritagli della tua vita, e per aver aver raccolto l'invito di una iniziativa così lodevole, di cui, però, mi farebbe piacere un giorno non ci fosse più bisogno
RispondiEliminaParole sante Ale, parole sante.
RispondiEliminaAnche chi non ha avuto la fortuna di poterne godere, conosce il grande merito di aver avuto alle spalle un padre che educasse gratificando i propri figli e insegnando loro il modo migliore in cui farsi strada, nel rispetto degli altri e di se stessi.
RispondiEliminaMio padre ha sempre sfuggito il ruolo di educatore e di punto di riferimento e si è sempre e solo limitato a minare negli anni e in più punti la mia autostima; che se non sono crollata è solo per pura forza di volontà e cieca ostinazione.
Quello che sono oggi,nulla di straordinario a dir la verità, lo devo per lo più ad estranei, a persone che invece hanno creduto in me e mi hanno dato i mezzi per capire quanto valessi. Mi fa sempre piacere scoprire che altre persone hanno fatto esperienza diverse e positive, spero solo di riuscire a d arrivare dove vorrei anche senza questo background di forza familiare.
Ale leggere il blog tuo e di Dani è sempre un appuntamento imperdibile, la cucina è una grande risorsa e voi siete fantastiche. Keep going e grazie.
Non mi va di scherzare su un argomento molto più serio di quanto si pensi ma soprattutto il più delle volte sottovalutato. Non amo le iniziative frutto di una esigenza, il fatto che si avvertano come necessarie ha una sua malinconia di fondo. E' ora che queste acclamate "palle" termino di essere anche solo verbalmente un riferimento, una asticella di indipendenza caratteriale, un punto di arrivo. Probabilmente soffro di uvite ma non vedo enormi progressi ad oggi...magari non ho occhio lungo...ma la vedo dura la cancellazione di un certo tipo di cultura intimamente "sessista"...laddove le lacune non sono addebitabili solo al genere maschile quanto ad una forma mentis che 'purtoppo' colpisce in molti indipendentemente dal proprio genere di appartanenza...qualunque esso sia.
RispondiEliminaGrazie mille Ale. :**
RispondiEliminascusa Ale, ma che professione pioneristica hai iniziato 10 anni fa? spero che la mia domanda non sia troppo personale o troppo indiscreta. Indiscreta nel caso fossi una 007 in gonnella... ma non credo, la prima è stata Mata Hari :-))))
RispondiEliminaSono d'accordo su ogni tua parola sulla festa delle donne. Bravissima ad averlo espresso in modo così chiaro e convincente, ma che tu sia una scrittrice mancata non è un segreto.
Baci
mi hanno molto commosso le parole sul papà, spero che un giorno qualcuno dei miei figli abbia lo stesso giudizio, da una grande soddisfazione capire queste cose, tira su di morale sic erca di fare il meglio al costo di grandi sacrifici e non si sa mai se è sufficiente oppure no
RispondiEliminaVedere che rinunci alla riservatezza in favore del principio dell'ubi maior, è l'ennesima conferma del tuo spessore. Solo tu, d'altronde, potresti scrivere che sei stata la prima donna al mondo a fare il lavoro che fai (sul quale io mi scervello e al momento mi sono fissata su un opzione: sarà quella giusta?) e a non far trasparire la minima boria o presunzione.
RispondiEliminaMa tutto ciò, perdonami, passa in secondo piano per me che leggo e trovo la conferma di quello che temo: servono radici solidi per poter germogliare. Servono lo sguardo orgoglioso e la protezione di un padre per poter permettere alle bambine di diventare donne e alle donne di capire che devono pretendere di essere trattate da regine e non da serve.
Il tuo post è davvero unito a doppio filo con il vortice di pensieri che mi travolge, ora più di prima.
Il tuo papà ha fatto un ottimo lavoro :)
Uno dei motivi per cui non ho mai preso apertamente posizione su questo argomento è perchè odio le strumentalizzazioni politiche, da qualsiasi parte esse provengano. Le odio quando si impossessano di argomenti di minore spessore, figuriamoci quando si tratta di affrontare questioni del genere. Preferisco stare a testa bassa e lavorare- e se ho squarciato un po' il velo sulla mia professione, il massimo che mi consento e che mi è consentito, è solo per dare sostanza a parole che potevano rischiare di sembrare vuote. Tutti i santi giorni mi occupo anche di donne che soffrono- e me ne occupo da donna. Ho affrontato situazioni di abusi, di violenze, di danni psicologici devastanti e l'immenso rispetto che provo verso queste persone mi ha sempre trattenuto dal parlarne, se non nei luoghi e nei tempi da me ritenuti giusti. Che non sono un blog di cucina, ovviamente. Altrimenti, lo avrei fatto prima.
RispondiEliminail punto è che il silenzio ha tante motivazioni, molte delle quali anche nobili e condivisibili. Ma, purtroppo, non sempre riesce a veicolarle. E questo vale soprattutto per le vittime, che sono state le persone che ho avuto in mente, quando ho scritto questo post. Non ho mai manifestato a favore delle discrminazioni delle donne: ma mi son fatta un mazzo tanto, perchè anche una strada sbarrata come quella che ho percorso io potesse essere aperta. E l'ho fatto, con la consapevolezza che una donna, in quel ruolo, sarebbe potuta diventare un aiuto insostituibile, per altre donne, in difficoltà.
come dire, non dò in pasto alla prima femminista di turno una notizia da cavalcare, uno slogan da coniare, una campagna elettorale da sviluppare: me ne guardo bene, semmai.
Ma da qui a dire "meglio tacere", ce ne passa.
Ripeto: in tre anni e passa di blog, non ho mai affrontato questo argomento: mi bastavano le mie scelte di vita. Non ho scritto una riga sul "se non ora quando", trattendendomi dal dar voce alle mie perplessità e ai miei interrogativi più profondi. Neanche quella ha portato a niente. Però, guai a sostenere il contrario, ai tempi. Mentre 60 centri anti violenza, sparsi sul territorio, che lavorano in silenzio, tutti i santi giorni, possono aver bisogno delle voci di tutti, per essere localizzati, conosciuti, pensati come ancore di salvezza, punti di sostegno e- perchè no?- opportunità per mettersi in ascolto di chi non ha avuto le nostre fortune. E' a queste realtà, che affianco la mia voce. Per le altre, ci son già i megafoni.
Il tuo post é meraviglioso.
RispondiEliminaMi sono commossa per il tuo racconto, per la grinta e il coraggio che metti in tutte le cose e per come riesci a raccontarle e ti dico una cosa... anch'io non la voglio la mimosa!
RispondiEliminaUn abbraccio :)
grande, grandissima ale, in tutto quello che dici e fai.
RispondiEliminaanch'io non voglio - da sempre - la mimosa. e anch'io ho nascosto le mie "palle" sul lavoro, mimetizzandole tra collane e vezzi che disorientavano i competitors.... ma nel mio ambiente, non c'era nulla da fare : la mia Banca (che allora una una "vera" Banca... )era misogina, tout court. E se ho fatto strada ( non carriera, per carità!!) è solo perché non ho mai avuto paura di affermare il mio pensiero, affrontando a testa alta i mega direttori (talora anche un po' istupidi dal ruolo), o superiori incapaci.. Vedi, tutte le storie di donne , alla fine, si assomigliano... e ne sanno qualcosa le nostre figlie, perché - mutatis mutandis - non c'è nulla di nuovo sotto il sole, con buona pace di chi si crede liberata.( Non iniziamo un dibattito, please : concedetemi solo questo sfogo solidale.) grazie.
RispondiEliminagrazie Ale...an_top67
RispondiEliminanon sai quanto condivido quello che dici.
RispondiEliminapenso che per una donna, lo "sguardo" del proprio padre sia determinante per la sua vita adulta. su millanta e millanta piani diversi.
e mi piace moltissimo quello che scrivi di tuo padre, questo splendido ringraziamento con fatti e con parole.
sono quasi commossa...
Splendide parole, che dovrebbero aiutare molte donne a prendersi il proprio spazio e posto nel mondo.
RispondiEliminaGrazie! Vorrei saperlo dire bene come hai fatto tu.