Il ricordo più lieto che ho del corso di Ebraico ai tempi dell'Università è legato al clima surreale e divertito che si avvertiva quando, prendendo in mano la Bibbia ed iniziando a leggere dal fondo, esordivamo tutti con " in principio". La cosa ci sembrava così buffa che, un po'alla volta, avevamo preso tutti ad attaccare la lettura così, con buona pace del professore che, una volta riscontrata la vanità dei suoi sforzi di ricondurci a quel minimo di decoro che la sacralità del testo imponeva, si era serenamente rassegnato all'imperscrutabilità del Fato che, per quell'anno, gli aveva riservato una classe di emeriti imbecilli.
L'episodio mi è tornato in mente mentre leggevo L'irresistibile eredità di Wilberforce, opera secunda di Paul Torday, acclamata dalla critica come "semplicemente meravigliosa", " da leggere assolutamente", " un puro gioiello", capace niente meno di infrangere la maledizione che vuole i secondi "parti" meno brillanti dei "primi". Anche il risvolto della copertina sembrava promettere bene: "non sono un alcolizzato: ho la passione per il Bordeaux, tutto qui" risuonava alle mie orecchie come una sorta di "apriti sesamo" che mi avrebbe schiuso le porte di quel trionfo di sensorialità e di godimento allo stato puro che è il mondo del vino.
Se avete un po' di dimestichezza con le quarte di copertina (leggasi: se vi siete già presi almeno tre bidoni solenni, fidandovi delle recensioni sul restro del libro), sapete già che le aspettative per cui avete sborsato a cuor leggero 17.50 euro sono andate miseramente deluse: dissipato il fumo negli occhi delle prime pagine, ci si trova di fronte ad un romanzo che , del romanzo, ha solo il nome: scarsissima l'introspezione psicologica dei personaggi, debole la trama, piatta la scrittura, solo a tratti ( per altro brevi e scoordinati) in sintonia con la materia trattata.
L'unico motivo per cui l'irresistibile eredità di Wilberforce non finisce dritto nella pattumiera virtuale dei libri da buttare è per la trovata dell'impianto narrativo- che è quella che mi ha fatto venire in mente le lezioni di Ebraico, tanto per "chiudere il cerchio": nel senso che la vicenda inizia dalla fine e procede a ritroso, seguendo uno schema cronologico inverso dal quale l'autore non deraglia mai, neppure per concedere al lettore uno straccio di epilogo finale, una postfazione, qualcosa insomma che risollevi dallo sconforto che ti prende quando arrivi all'ultima pagina e ti rendi conto che sapevi già tutto (e, peggio ancora, che quello che sapevi non ti piaceva per niente).
Quindi, se amate il post moderno ma non osate ancora avventurarvi per i sentieri criptici e insidiosi di De Lillo, questo libro fa per voi. E se invece siete amanti di una letteratura tradizionale, che abbia un inizio e una fine (non necessariamente lieta) collocate al punto giusto, lasciate perdere e convogliate la stessa cifra in qualcosa che va all'indietro pure lui, ma lascia ben altro retrogusto...
L'episodio mi è tornato in mente mentre leggevo L'irresistibile eredità di Wilberforce, opera secunda di Paul Torday, acclamata dalla critica come "semplicemente meravigliosa", " da leggere assolutamente", " un puro gioiello", capace niente meno di infrangere la maledizione che vuole i secondi "parti" meno brillanti dei "primi". Anche il risvolto della copertina sembrava promettere bene: "non sono un alcolizzato: ho la passione per il Bordeaux, tutto qui" risuonava alle mie orecchie come una sorta di "apriti sesamo" che mi avrebbe schiuso le porte di quel trionfo di sensorialità e di godimento allo stato puro che è il mondo del vino.
Se avete un po' di dimestichezza con le quarte di copertina (leggasi: se vi siete già presi almeno tre bidoni solenni, fidandovi delle recensioni sul restro del libro), sapete già che le aspettative per cui avete sborsato a cuor leggero 17.50 euro sono andate miseramente deluse: dissipato il fumo negli occhi delle prime pagine, ci si trova di fronte ad un romanzo che , del romanzo, ha solo il nome: scarsissima l'introspezione psicologica dei personaggi, debole la trama, piatta la scrittura, solo a tratti ( per altro brevi e scoordinati) in sintonia con la materia trattata.
L'unico motivo per cui l'irresistibile eredità di Wilberforce non finisce dritto nella pattumiera virtuale dei libri da buttare è per la trovata dell'impianto narrativo- che è quella che mi ha fatto venire in mente le lezioni di Ebraico, tanto per "chiudere il cerchio": nel senso che la vicenda inizia dalla fine e procede a ritroso, seguendo uno schema cronologico inverso dal quale l'autore non deraglia mai, neppure per concedere al lettore uno straccio di epilogo finale, una postfazione, qualcosa insomma che risollevi dallo sconforto che ti prende quando arrivi all'ultima pagina e ti rendi conto che sapevi già tutto (e, peggio ancora, che quello che sapevi non ti piaceva per niente).
Quindi, se amate il post moderno ma non osate ancora avventurarvi per i sentieri criptici e insidiosi di De Lillo, questo libro fa per voi. E se invece siete amanti di una letteratura tradizionale, che abbia un inizio e una fine (non necessariamente lieta) collocate al punto giusto, lasciate perdere e convogliate la stessa cifra in qualcosa che va all'indietro pure lui, ma lascia ben altro retrogusto...
GAMBERONI AL TE' E ALLO ZENZERO
per 4 persone
16 gamberoni ( o 24 mazzancolle, come quelle che vedete nella foto)
tè verde leggero
un pezzo di zenzero fresco ( circa 10 g)
brodo di pesce
olio EVO.
riso venere per accompagnare
Pulire bene i gamberi, togliere il carapace e il filo nero e farli marinare per due ore nel tè, in cui avrete grattugiato lo zenzero.
Nel frattempo, preparate il riso pilaf: prendete un recipiente che possa andare in forno e fatevi stufare mezza cipolla tritata, come per un normale risotto. aggiungete il riso ( circa due tazze piccole), fate tostare e poi bagnate con del brodo 8 meglio se di pesce), in quantità doppia rispetto al riso. il riso deve essere completamente coperto. togliete dal fuoco e sigillate il recipiente con della carta stagnola, poi infornate a 180 gradi per 18-20 minuti: è pronto quando il brodo è stato completamente assorbito dal riso. Togliete l'alluminio e sgranate con una forchetta.
Togliete i gamberi dalla marinata e fateli saltare velocemente in padella, salandoli leggermente.
Servite in piatti indivicuali, disponendo i gamberi su un letto di riso e portando il resto a parte
Buon appetito
alessandra
16 gamberoni ( o 24 mazzancolle, come quelle che vedete nella foto)
tè verde leggero
un pezzo di zenzero fresco ( circa 10 g)
brodo di pesce
olio EVO.
riso venere per accompagnare
Pulire bene i gamberi, togliere il carapace e il filo nero e farli marinare per due ore nel tè, in cui avrete grattugiato lo zenzero.
Nel frattempo, preparate il riso pilaf: prendete un recipiente che possa andare in forno e fatevi stufare mezza cipolla tritata, come per un normale risotto. aggiungete il riso ( circa due tazze piccole), fate tostare e poi bagnate con del brodo 8 meglio se di pesce), in quantità doppia rispetto al riso. il riso deve essere completamente coperto. togliete dal fuoco e sigillate il recipiente con della carta stagnola, poi infornate a 180 gradi per 18-20 minuti: è pronto quando il brodo è stato completamente assorbito dal riso. Togliete l'alluminio e sgranate con una forchetta.
Togliete i gamberi dalla marinata e fateli saltare velocemente in padella, salandoli leggermente.
Servite in piatti indivicuali, disponendo i gamberi su un letto di riso e portando il resto a parte
Buon appetito
alessandra
Ale,
RispondiEliminami piace questa ricetta semplice e 'pulita'. Ma siamo sicuri che il riso venere cuocia in 20'? Di solito ci vuole almeno il doppio di tempo quando lo fai lessare!
A prestissimo!
Valeria
Col procedimento del pilaf molto meno: il mio forno è più potente degli altri, ma a 180 gradi in modalità ventilata, in 15 minuti cuoce un basmati o un patna e in venti il venere. In compenso, sul fuoco è una tragedia...
RispondiEliminaa prestissimo anche da parte nostra
ale
tre ingredienti che adoro, riso, gamberoni e lo zenzero, che ultimamente metto un po' dappertutto. copiata.
RispondiEliminabuonanotte...
Sabri