Il Giardino delle Favorite è un'opera che sta a metà fra il romanzo storico e il romanzo inteso in senso lato, quello che gli Anglosassoni chiamano "novel". Non a caso, la narrazione si svolge su due piani e in due tempi, la prima ai giorni nostri (e questa è la novel), la seconda nell'Istanbul del 1599. Il motore dell'azione è un documento, scoperto da una giovane ricercatrice ad Oxford, che attesta l'esistenza di una donna nel novero dei prigionieri fatti schiavi in quell'epoca e che dà conferma alle sue teorie, in merito all'esistenza di una giovane inglese nell'harem. Da lì in poi è tutto un intrecciarsi di storie parallele, quella della studiosa, da una parte, e quella della schiava, dall'altra, con la Istanbul di ieri e quella di oggi a fare da sfondo e da filo conduttore all'intera vicenda.
Siccome questo libro mi è stato consigliato da Fabio, che è un caro amico, mi verrebbe da fermarmi qui ed augurarvi buona notte. Ma siccome Fabio è stato il primo ad esigere rece sincere (e siccome è pure juventino, e stasera non è serata, ma proprio per niente), faccio 'sto immane sacrificio e prendo bene la mira.
Il primo strale, tanto per stare sul classico, è per i recensori "seri", quelli che si danno appuntamento sulla quarta di copertina per giocare a chi le spara più grosse. Stavolta, si scomodano nientemeno che il N.Y.Times, The Spectator e, buon peso, la Johanne Harris, che sprecano aggettivi ed iperboli per incensare una scrittrice che, fatta salvo un accettabile livello di informazione storica, ha più pecche che pregi.
Il secondo strale è contro un certo tipo di approccio a materie, per così dire, "alte", che si sta sempre più imponendo in questi ultimi tempi. E' la sindrome da Eleganza del riccio e da numeri primi, per capirci, per cui la struttura della cornice diventa paravento- o meglio, specchietto per le allodole- per nascondere pecche narrative macroscopiche, illudendo il lettore di avere in mano dei capolavori, per il semplice fatto che trattano di tematiche "di un certo livello", come direbbe la Dani. E' toccato alla filosofia, poi alla matematica, adesso al fulgore dell'Impero Ottomano che, neanche a dirlo, è la moda del momento- argomenti nobilissimi e interessantissimi, sviliti in molti romanzi al duplice ruolo di traino per le vendite, da una parte, e di velo pietoso su tutto il resto, dall'altro.
Sia chiaro: ho letto di peggio. E anzi, non escludo che questo sia un tipo di lettura che a molti di voi possa far piacere, perchè permette comunque di respirare atmosfere lontane e di recuperare qualche nozione storica senza grande sforzo. Fra leggere Chi, sotto l'ombrellone, o Il Giardino delle Favorite, non avrei nessuna esitazione nella scelta del secondo, e vi dirò di più: ci sono stati dei momenti, nella lettura, in cui l'autrice è riuscita a ricreare quell'atmosfera di fascino e di mistero che da sempre fa dell'Harem un luogo unico al mondo. Il problema è che poi non è stata in grado di gestirli, piombando immancabilmente nella grevità di un lessico povero e obsoleto (quel "si gingilla col tuo amore" che ricorre come leit motif nella storia di Elizabeth avrebbe fatto salire la glicemia pure a mia nonna), di una narrazione incapace di dominare la materia trattata e di una pessima capacità di conduzione delle due storie parallele. Azzardo, senza troppo timore di sbagliare, che se la Hackman avesse osato tornare all'antico e scrivere un romanzo storico nel senso stretto del termine, focalizzandosi solo sulle avventure della giovane schiava, avrebbe sicuramente sfornato un prodotto migliore: invece, in questo modo, abbiamo solo tante bolle di sapone, sullo sfondo plumbeo di una storia piatta, banale e, francamente, un po' noiosa
Si può fare di più
Alessandra
Siccome questo libro mi è stato consigliato da Fabio, che è un caro amico, mi verrebbe da fermarmi qui ed augurarvi buona notte. Ma siccome Fabio è stato il primo ad esigere rece sincere (e siccome è pure juventino, e stasera non è serata, ma proprio per niente), faccio 'sto immane sacrificio e prendo bene la mira.
Il primo strale, tanto per stare sul classico, è per i recensori "seri", quelli che si danno appuntamento sulla quarta di copertina per giocare a chi le spara più grosse. Stavolta, si scomodano nientemeno che il N.Y.Times, The Spectator e, buon peso, la Johanne Harris, che sprecano aggettivi ed iperboli per incensare una scrittrice che, fatta salvo un accettabile livello di informazione storica, ha più pecche che pregi.
Il secondo strale è contro un certo tipo di approccio a materie, per così dire, "alte", che si sta sempre più imponendo in questi ultimi tempi. E' la sindrome da Eleganza del riccio e da numeri primi, per capirci, per cui la struttura della cornice diventa paravento- o meglio, specchietto per le allodole- per nascondere pecche narrative macroscopiche, illudendo il lettore di avere in mano dei capolavori, per il semplice fatto che trattano di tematiche "di un certo livello", come direbbe la Dani. E' toccato alla filosofia, poi alla matematica, adesso al fulgore dell'Impero Ottomano che, neanche a dirlo, è la moda del momento- argomenti nobilissimi e interessantissimi, sviliti in molti romanzi al duplice ruolo di traino per le vendite, da una parte, e di velo pietoso su tutto il resto, dall'altro.
Sia chiaro: ho letto di peggio. E anzi, non escludo che questo sia un tipo di lettura che a molti di voi possa far piacere, perchè permette comunque di respirare atmosfere lontane e di recuperare qualche nozione storica senza grande sforzo. Fra leggere Chi, sotto l'ombrellone, o Il Giardino delle Favorite, non avrei nessuna esitazione nella scelta del secondo, e vi dirò di più: ci sono stati dei momenti, nella lettura, in cui l'autrice è riuscita a ricreare quell'atmosfera di fascino e di mistero che da sempre fa dell'Harem un luogo unico al mondo. Il problema è che poi non è stata in grado di gestirli, piombando immancabilmente nella grevità di un lessico povero e obsoleto (quel "si gingilla col tuo amore" che ricorre come leit motif nella storia di Elizabeth avrebbe fatto salire la glicemia pure a mia nonna), di una narrazione incapace di dominare la materia trattata e di una pessima capacità di conduzione delle due storie parallele. Azzardo, senza troppo timore di sbagliare, che se la Hackman avesse osato tornare all'antico e scrivere un romanzo storico nel senso stretto del termine, focalizzandosi solo sulle avventure della giovane schiava, avrebbe sicuramente sfornato un prodotto migliore: invece, in questo modo, abbiamo solo tante bolle di sapone, sullo sfondo plumbeo di una storia piatta, banale e, francamente, un po' noiosa
Si può fare di più
Alessandra
Beh, innanzitutto ti ringrazio (e ti apprezzo) per la recensione sincera. Sai che in questo periodo ho un po' la fissa per Istanbul, quindi qualunque cosa mi porti un po' lì ha un valore aggiunto. Inoltre sono un romanticone e le storie d'amore le apprezzo sempre, anche se fanno alzare un po' la glicemia. Mi è piaciuta l'atmosfera dell'harem con tutta la sua articolata composizione. In fondo credo che le cose positive del libro le abbia apprezzate e descritte bene anche tu, e questo mi fa piacere. Lasciando in secondo piano alcune carenze nella narrazione. Sono stato un po' ad Istanbul con la fantasia con questo libro, spero di andarci presto di persona, in buona compagnia ;-)
RispondiEliminaFabio
Pensa che in questo momento Giulio è lì- e io sono qui (grrrrrr)
RispondiEliminaHai mai letto i libri di Goodwin? quello dell'investigatore eunuco? io li trovo deliziosi. L'ambientazione è sempre la Istambul ottomana, a più ampio raggio, perchè spazia un po' dappertutto, ma lo stile e le trame sono molto più lievi ed avvincenti. C'è di sicuro una rece qui sul blog, tanto per farti un'idea.
E comunque, favorite o no, io continuo a lavorare ai fianche della consorte: a proposito, quanto tempo ho? deve capitolare entro Pasqua, o possiamo aspettare fino all'autunno? Noi siamo sempre pronti...
Ti avviso, la consorte è un osso duro. I fianchi le cominciano a far male ma per ora non barcolla. Credo che la dovremo lavorare fino a primavera inoltrata se non fino all'autunno :-D
RispondiEliminaFabio
Fortunatamente i miei fianchi sono ben imbottiti da dolci e dolcetti. Di capitolare non se ne parla...mi sa che dovrete lavorare ancora a lungo ^_^
RispondiEliminaBaci
Anna Luisa
C'è Giulio in missione lokum e baklavà... proviamo con quelli????
RispondiEliminaConcordo parola per parola. Io adoro l'impero ottomano e tutto ciò che lo riguarda. La famiglia di mio marito è nata in Grecia (emigrati all'inizio del 900) e quindi il consorte insieme alla lingua greca ha assorbito anche la mentalità greca, quindi non sopporta tutto ciò che è turco(sichameni turki!).Sono riuscita a trascinarlo a Costantinopoli (si rifiuta di chiamarla Istambul) si è innamorato.
RispondiEliminaRilancio quindi la palla con i libri di Petros Markaris ambientati ad Atene. Markaris è un drammaturgo e scrive anche gialli. Deliziosi.
Da leggere possibilmente in ordine di uscita, ma il più bello, a mio avviso è "Il Che si è suicidato".
"Buona" idea. Prima la "sfianchiamo", poi la finiamo prendendola per la gola (nel senso letterale of course):-D
RispondiEliminaFabio
E' un libro che avevo segnato nel mio lungo elenco di libri da leggere, ma, non so perchè, non l'avevo ancora preso. Temevo un romanzo come l'hai descritto tu...e dato che di te mi fido quasi :-) ciecamente, lo terrò come alternativa a CHI ,per quest'estate sotto all'ombrellone! grazie e complimenti ,come sempre, per i tuoi post.a presto
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