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venerdì 28 maggio 2010

La Cena- Hermann Koch


Passare dall'ultima riga di un libro alla prima di un post non è sempre positivo, per chi lo deve recensire: non sempre, cioè, il flusso delle emozioni non ancora decantate è garanzia di un giudizio completo, equilibrato, rispettoso dell'opera e del sentire del lettore. E meno che mai lo è se il libro in questione è La Cena di Koch, che è un'opera devastante, sotto ogni aspetto: nel contenuto e nel messaggio, anzitutto, sorretti da una scrittura che, dalla metà del racconto in poi, si libera dela pesantezza di un ritmo lento e dispersivo, per ingranare la marcia forsennata e travolgente della follia. Non è un caso che , questa volta, abbia bisogno di un po' di tempo, prima di riprendermi da una lettura davvero sconvolgente, nel senso più vero del termine, dandovi appuntamento ai prossimi giorni, quando un maggiore distacco mi consentirà di guardare le cose con obiettività maggiore. Vi lascio però le prime due impressioni di Silvia e di Mapi, che danno entrambe la misura della potenza di un libro di spessore, che coinvolge e travolge e che non si dimenticherà facilmente.

Agghiacciante.
Ho letto solo un altro romanzo che ha avuto il potere di annichilirmi in questo modo: 'l'errore di Platini' di Recami.
E' agghiacciante la totale assenza di valori, di espressioni di emotività affettiva, la supremazia della superficialità del sembrare rispetto alla profondità dell'essere.
L'aspetto educativo, o meglio, l'assenza dell'aspetto educativo, è qui volutamente esasperata, ma ho paura sia ormai una quasi normalità: qualche anno fa, ad una riunione della 3a elementare frequentata da mia figlia, i genitori cui venne fatta presente l'eccessiva insolenza ed arroganza dei loro pargoletti, risposero orgogliosamente: "i nostri figli sono molto svegli e questa aggressività ne è l'inevitabile rovescio della medaglia" ...
C'è infine un aspetto-sorpresa che si rivela poco a poco: infatti fin dall'inizio il raccontare pacato e distaccato del protagonista narrante non fa per nulla presagire il suo carattere violento, ma solo alla fine, mettendo insieme tutti gli episodi, finché poi emergono anche esami genetici, si arriva alla possibilità della patologia mentale - forse si riferisce ad un disturbo bordeline di personalità?
Ma non è un'attenuante, perchè ben si capisce che lui stesso, col sostegno della moglie, ha sempre rifiutato di curarsi.
La moglie, apparentemente così dolce e paziente, si rivela la vera anima nera del gruppo, con un rapporto diabolicamente edipico con il figlio (è lei che dice 'in fondo era solo una barbona'...).
La conclusione è amara e ci predisporrebbe ad un pessimismo inevitabile.
Ma per me la domanda cruciale non deve essere:
Cosa avremmo fatto noi? come avremmo agito noi al posto di quei genitori?
Vorrei invece che chi legge questo libro arrivi a chiedersi: cosa possiamo fare noi per evitare una tale evoluzione del sistema famiglia-società...

silvia - piacenza


Mapi

"Comincio a postare qui il mio commento perché ho paura di perderlo; quando sarà aperto il thread di discussione, lo copierò anche lì.

Molto bello e forte questo libro dove nulla è come appare, che è un pugno nello stomaco e allo stesso tempo spinge a riflettere su se stessi, sui valori che si è tentato di trasmettere ai figli e sulla libertà dei figli medesimi, che a un certo punto fanno le loro scelte personali.
Fin dall’inizio la sensazione è strana: si percepisce uno strano distacco, un certo non so che di irreale, che si delinea e chiarisce a mano a mano che si prosegue con la lettura.

Il libro si apre con la citazione dell’incipit dell’Anna Karenina e l’accenno alla famiglia felice si ripete come un refrain lungo tutta la narrazione.

A fare da contrappunto alla storia vi è il menù del ristorante, dall’aperitivo alla mancia, con il Maître che è quasi la controfigura di Paul: quel suo dito mignolo che si avvicina fastidiosamente agli ingredienti che compongono le varie pietanze quasi fosse una lente d’ingrandimento, che li dettaglia ad uno ad uno rivelandone le incongruenze (olive del Peloponneso, olio dalla Sardegna e rosmarino olandese) senza riuscire a coglierne l’unità, richiama i flashback di Paul, che richiama alla memoria spezzoni del suo vissuto per cercare di capire come le cose siano potute giungere al punto a cui sono giunte. E come il Maître, neanche Paul riesce a trovare un nesso tra i vari spezzoni, che dia unità alla sua vita. Togliendo la lente d’ingrandimento che cerca di studiare il singolo episodio, quello che prevale è il vuoto (come il vuoto del piatto), un vuoto beffardo che sembra dirti “tanto lo so che non hai il coraggio di andare a fondo”.

Nulla è come appare: Serge, che sembrava egoisticamente preso dalla sua carriera politica, si rivela invece più corretto e morale degli altri, con la sua decisione di dimettersi; Babette, all’apparenza un’ambiziosa arrampicatrice che mira allo status di First Lady e che sembra avere adottato Beau per mere questioni di immagine, in realtà ama veramente il ragazzo. Claire, che sembrava la persona più equilibrata del quartetto, risulta la più ferocemente egoista, pronta a tutto pur di mantenere lo status quo, compresa la complicità nell’omicidio del nipote adottivo e l’attacco fisico al cognato. Paul è un personaggio stranito, smarrito, che cerca di raccapezzarsi tra i vari episodi della sua vita, in una evidente dissociazione della personalità che pensa alla sua vita come a una serie di episodi staccati e senza senso, a cui manca un filo conduttore. Il personaggio più coerente in assoluto è Michel, con i suoi occhi sinceri: soffre dello stesso disturbo del padre, ma non ha avuto un’educazione che cercasse di contrastare le sue tendenze violente e quindi tutti i suoi atti sono assolutamente logici e non gli creano nessun conflitto interiore.

Chiudendo il libro viene in mente l’opposto dell’incipit dell’Anna Karenina: “Tutte le famiglie infelici si assomigliano, ma ogni famiglia felice è felice a modo suo.”

E gli altri, cosa ne pensano?
Ale

21 commenti :

  1. Scelta assolutamente felice: "La cena" sembra scritto appositamente per far riflettere e discutere...

    Tutti siamo figli, molti anche genitori e, mentre il legame di ascendenza è ben chiaro a chi lo vive, quello di discendenza si apprende nella vera essenza solo quando si diviene madre (o padre, presumo): unica forma di amore gratuito, che nulla chiede in cambio, che non usa la bilancia del dare/avere perchè dà, dà e poi dà ancora e non importa quanto e se arrivi in cambio...

    Ora però mi chiedo se tale gratuità sia davvero infinita, come sempre avevo pensato...se trascenda ogni etica, se non trovi come limite neppure la vita di altri e se riesca a sopravvivere oltre ogni valore.

    Ho un senso della giustizia molto forte e, nonostante come figlia non abbia avuto l'appoggio incondizionato dei miei genitori quando ho effettuato scelte contrarie ai loro punti di vista, come madre ho sempre pesato che sarei stata pronta ad accogliere, anche gesti lontani dal mio pensare.

    Silvia ha posto l'interrogativo giusto: cosa avremmo fatto al loro posto?

    Non lo so: con la ragione mi piace pensare che l'integrità sia un valore assoluto, da trasmettere ai figli...non giudico Claire per la sua difesa ad oltranza del figlio ma provo un forte disprezzo nei suoi confronti per la mancanza di sofferenza, di dubbi, di travaglio...

    Ho sempre diffidato delle persone dalle certezze granitiche...

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  2. caspita... questo mi incuriosisce ma mi spaventa anche... non sò se riuscirei a continuare da quello che dici e dai commenti delle due lettrici.... aspetto il tuo resoconto, il libro era in prima vista in biblioteca ma questa volta non sò come mai ho saltato... baci e buon w.e.!

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  3. ..difficile - concordo con Alessandra - ho bisongo di metabolizzare -l'ho finito oggi pomeriggio e sono ancora scossa - posso dire bello - ha una scrittura che incalza - mi è piaciuto molto anche questo passare dalla lentezza iniziale alla catarsi della "catastrofe" finale- non ho figli pertanto non mi pongo il problema etico di cosa avrei fatto o cosa dovrei fare - ma l'argomento è forte e ho bisogno di riflettere - certo è che è senz'altro un libro stimolante intellettualmente ma molto pesante spiritualmente perchè non puoi fare a meno di pensare che è molto molto realistico - la violenza, anche se trattata come malattia, è una delle problematiche più forti della nostra società e quetso libro te la sbatte in faccia con la stessa violenza che descrive! notte a domani

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  4. Ohhh, credo che non lo leggerò. Pensavo di prenderlo non appena finito il mio a mi sembra aghiacciante e dissacrante e, sinceramente, in questo momento ho voglia di leggere cose che mi alliettino lo spirito, grazie delle recensioni:)
    Buon WE, un abbraccio
    Patricia

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  5. Anch'io sono perplessa sulla possibilità, mia, di leggere un testo di questo genere. Dalle vostre parole si intuisce l'evento tragico che rappresenta il punto centrale (?) del romanzo.
    A questo proposito, mi chiedo proprio in questi giorni in cui è tornata alla luce una storia trucida di vera cronaca risalente a 16 anni fa: evito nomi, ma mi riferisco alla ragazzina rinvenuta nella soffitta di una chiesa....Mi sono chiesta: " Ma come può un genitore-o due genitori- difendere un figlio, che sa colpevole di un tremendo delitto?
    Tanto più se questo figlio non era, non è, normale (termine quanto mai equivoco), diciamo disturbato?"
    Io so che difenderei le mie figlie fino alla morte, ma solo se fossero vittime...
    Mah, non ho risolto nulla e mi sono allontanata dalla recensione che è il tema di questo spazio. Scusatemi. Rosella

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  6. Per chi teme che sia troppo crudo, rispondo che no, non lo è. O meglio: la narrazione è sempre contenuta,come si conviene al tipo di narratore prescelto (e in questo senso, dal punto di vista letterario, l'autore è magistrale). Ve lo dice una che non regge alle minime emozioni negative, quindi, se sono arrivata in fondo io, ci possono arrivare tutti.
    Il problema è la deflagrazione che vi prende a libro chiuso: nel senso che è alla fine che ci si rende conto di non farcela. E' un po' come quando ci si ingozza di cibo, fino a quando non si è vuotato il piatto- per poi sentirsi male dopo.
    Il problema è sfaccettato e multiforme, anche perchè sono piani di valori che si intersecano: eccezion fatta per i genitori inflessibili, per cui il principio del "dura lex sed lex" vale sempre e dovunque, e quindi anche con i loro figli, la questione che sta sotto al "fino a che punto vanno difesi, i nostri figli" è "fino a che punto crediamo nei valori che sono stati calpestati.
    In ogni caso, a me sembra che questo sia un libro che vada letto. Ho una lista di futuri lettori a cui ho promesso di prestarlo e, fra questi, due sacerdoti. Poi, come diceva giustamente rosella, la recensione è un'altra storia- ma anche no: perchè il vero punto di forza del libro è proprio la fusione perfetta fra narrazione e narratore, che rende difficile scindere la materia dallo stile....
    ciao
    ale

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  7. Nonostante il libro sia molto forte (come dice Alessandra la narrazione non è trucida, ma ti scuote dentro) io ritengo sia valsa la pena di leggerlo, anzi dirò di più: una settimana dopo averlo finito l'ho ripreso in mano per tornare a leggerlo (anche se poi mi sono fermata al primo capitolo perché avevo altro da leggere, ma confido di riprenderlo a breve).

    Verissimo quello che scrive Ale, ci sono più piani di valori che si intersecano.
    Il narratore dice che non vuole che la sua sia una famiglia dove i genitori siano amici dei figli ("una famiglia alla Joris e Wilma"), ma di fatto lui è il primo adolescente, è il primo a non riuscire ad assumere il ruolo di educatore, pur desiderando farlo. Lo si evince chiaramente quando si sente colpevole per essere andato in camera del figlio in assenza di questi e per aver guardato un video shockante sul suo telefonino: Paul non riesce ad affrontare Michel e a parlargli del video, si sente in colpa per averne violato la privacy, mentre è suo preciso dovere di genitore-educatore intervenire in modo deciso quando vede che determinati valori sono stati violati.

    Paul è un adolescente anche nella toilette del ristorante, quando fa il confronto con il "getto gagliardo" dell'uomo barbuto, sentendosi a lui inferiore. Si sente inferiore al barbuto e al Maître, si sente inferiore a Claire, ha l'insicurezza tipica di un adolescente, per l'appunto.

    "Claire è più furba di me", ripete a più riprese. Non più intelligente, ma più furba. Al termine del romanzo mi è venuto il dubbio che Claire soffra del medesimo disturbo di Paul e che abbia fatto il test in gravidanza per verificare se il figlio soffra della medesima malattia. Per questo Claire è profondamente complice: è consapevole della sua malattia e sceglie di non curarsi (mentre Paul, pur con qualche timore, cerca di curarsi) e sceglie di proteggere ferocemente lo status quo la sua famiglia ("è stato un incidente, è solo una barbona, che cosa dovevano fare i ragazzi, cercare un altro bancomat?").

    E Paul, che si è messo a ridere quando il figlio gli ha parlato della barbona ma non se ne ricorda, ne è agghiacciato lui stesso ed è spettatore impotente dello sfacelo della sua famiglia felice; Paul che dopo aver protestato per i 10 euro dell'aperitivo della casa dà al Maître una mancia pari al corrispettivo della cena per comperarne il silenzio... Paul ha il nostro stesso smarrimento: come è potuto succedere? Perché è successo? E cosa avrei potuto fare per impedirlo?

    Io consiglio caldamente la lettura di questo libro.

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  8. Il termine agghiacciante è stato il primo che mi è venuto in mente per descrivere il libro, ma riflettendoci è venuto fuori anche intrigante e affascinane: eh si il fascino di vedere sulla carta tutto quello che non è politicamente corretto, perche se da una parte chiunque condannerebbe il "fattaccio" dall'altra ogni genitore sotto sotto e forse anche chi non è genitore potrebbe giustifacare la bravata dei due ragazzini: alla fine ci si ritrova nelle opinioni un po' estreme di Paul sulla pena di morte e sulle "vittime meno innocenti" delle guerre: magari non tutti lo ammettiamo, magari ci scandalizziamo ma alla fine a volte ci piace stare dalla parte dei cattivi. A volte. Comnque un libro bellissimo, che si legge tutto d'un fiato. Scomodo ma bello. Grazie di averlo scelto

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  9. Parte prima commento
    Parto da una premessa fondamentale perchè si possa centrare più facilmente il mio punto di vista.
    Non sono un genitore e solitamente questo non è il genere che prediligo (in copertina leggo addirittura Ammaniti che cita il testo come un thriller...ma abbiamo letto lo stesso libro o non ricordo il significato della parola?!).
    Passiamo a noi invece. Penso che "La cena" vada pesata su due fronti principali. Il primo è la serie di spunti che fornisce, alcuni anche molto interessanti, l'altro è la qualità del libro indipendentemente dal genere trattato.
    In merito al primo aspetto dico da subito che ci sono alcune scelte che ho trovato davvero indovinate. In primis l'idea della prospettiva 'patologica' quale punto d'osservazione privilegiato per dimostrare che la mancanza di valori non è una tara fiosologica e psicologica quale quella del padre appunto o del figlio, "naturalmente" violenti quanto un male più sottile e non diagnosticabile che vive attraverso la "normalità" delle due rispettive mogli o del figlio adottivo, il cui vuoto lucido di moralità li rende perfettamente credibili.
    Mi ha colpito anche la figura del politico "corretto", solo apparentemente di secondo piano che normalizza una foto generazionale troppo pendente sul lato fascinoso (e più vendibile quindi) di un male oscuro sociale già troppo venduto ed abusato dalle cronache di tutti i giorni. Il vero merito è infatti quello di non scorgere alcuna forma di compiacimento nel raccontare le pieghe più nascoste di una famiglia normalmente amorale, vuoi per patologia vuoi per mancanza di cultura vera. Forse questa è la cosa che ho maggiormente apprezzato, il distacco che non da adito alla facile analisi psicologica da quattro soldi. Questo è anche il motivo per cui non cedo alla lusinga della conclusione 'logica' o dell'analisi introspettiva dei personaggi, soprattutto per rispetto all'impostazione data dall'autore.

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  10. Parte seconda commento
    Certo che se lo scrittore fosse stato italiano probabilmente la figura paradossale del politico mestierante con coerenza farebbe addirittura ridere ed anche di gusto (leggi satira)...ma questo è il bello della lettura trasversale di autori estranei al nostro contesto, attribuire un significato palesemente non voluto dallo scrittore almeno nella direzione intesa da noi :P Relativamente al secondo aspetto, invece quello qualitativo del libro devo dire che non mi è sembrato un capolavoro, tutt'altro, perchè se lo scopo era sconvolgermi non c'è riuscito ne mi ha creato quella suspense da thriller al quale tanto sembrava puntare. La realtà va ben oltre già solo nel quotidiano di ognuno di noi e se quindi volutamente non faccio paragoni semplicistici e banali del mio vissuto personale altrettanto non posso fare finta di rimanere "turbato".
    Se il libro diventa l'occasione per porsi domande di un certo tipo va benissimo ma onestamente non mi va di gridare "al fuoco al fuoco" per quei mali della società che a ragion veduta sono storicamente ripetitivi. Cambia la forma ma non la sostanza. Il passato ed il quotidiano sono pieni di episodi devianti ed aberranti quindi non mi va di scandalizzarmi per un libro quando basta leggere l'articolo di fondo di qualche direttore di quotidiano/settimanale (relativo al sociale, non solo economia o politica) ancor meglio scritto ed ancor più da brividi. Insomma gli spunti di riflessione non necessariamente posti come 'storia thriller' passano altrove ed anche confezionati in modo migliore.
    Il libro di Koch è tuttavia una ottima alternativa al livello medio di pubblicazioni ma oltre la prima serata di PortaPorta non andrebbe...e se questo è un punto d'arrivo allora siamo messi davvero male.
    In definitiva riassumerei "La cena" dicendo che è una foto non di ottima qualità ma dalla prospettiva realmente interessante. Grazie in ogni caso per avermi (direi meglio, averci) dato la possibilità di guardare ad un tipo di pubblicazione che solitamente non acquisterei. Questo caffè in libreria è una piccola chicca che va salvaguardata :))

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  11. Facciamo come su anobii: attenzione - contiene anticipazioni sulla trama.
    per il primo terzo sembra un libro un po' moralistico sui ggiovani d'oggi senza valori; mi sembrava ben scritto ma evitabile.
    Nella parte centrale, quando subentra la malattia mentale, mi è sembrata una scorciatoia facile: il ragazzo è cattivo, ma non è colpa sua.
    E' alla fine che ti agghiaccia, quando capisci che sono proprio cattivi e basta, a-morali in senso letterale, e lo sono tutti (il fratello politicante cinico e stupido, alla fine, è quello che ne esce meglio). E un po' alla volta, ti rendi conto che quello che ti vuole raccontare non è la storia di un ragazzo cattivo, ma di un mondo che ha perso la bussola, se si esclude il mignolo orribile del maitre del ristorante.
    Però aleessa', il prossimo un po' più leggero, che se dio vuole è venuta primavera!!!
    Raffaella

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  12. @Mapi: interessante la lettura di Paul adolescenziale...era così evidente eppure non ci avevo pensato.

    Diciamo anche che questi bambini mai cresciuti sono purtroppo più frequenti nel mondo reale rispetto agli uomini con la u maiuscola...assumersi le proprie responsabilità non rientra nel vocabolario di troppi...tutto sommato ne esce meglio il fratello, antipatico da subito ma un minimo meno ipocrita...

    @ Gambetto: il tuo non essere (per ora!) padre ti ha permesso una lettura più distaccata della mia...vero che l'episodio di cronaca, perno della narrazione, non turba purtroppo più nessuno di noi ma quello che riesce a scuotere è forse la presenza di coscienze sopite, per le quali l'uccisione di una donna è in realtà una bravata, è la lucidità con cui si pensa a come buttare sabbia sugli eventi trascurando completamente l'aspetto etico...un po' come se l'amore per un figlio per sua natura rendesse nulle tutte le leggi, naturali, civili, religiose, umane...

    Per un figlio si arriverebbe anche ad uccidere, è vero, ma per difenderlo...non per aiutarlo a diventare un adulto inutile...

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  13. P.S. Concordo decisamente sull'opportunità assoluta di preservare questo meraviglioso angolo di chiacchiere in libreria!

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  14. Chiedo venia, non l'ho letto e scusate ma non l'ho nemmeno comprato. Dovevo andare in vacanza ed al rientro ho avuto 9000 cose da fare 6 libri da finire (di cui 5 indecenti) e sono tornata ora dall'Elba. Visto i commenti non lo leggerò. Non ho figli e piango ancora per questo. Non ce la faccio a leggere libri che parlano di genitori con figli problematici. Stranamente non dovrebbero toccarmi tanto ma mi toccano, anzi mi fanno male.
    Scusate.

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  15. perdonata. ma solo se non piangi più.
    tornando al libro, avrei voluto che mia figlia scrivesse due righe di commento, anche perchè ha un punto di vista diverso, per quanto riguarda i contenuti- e mica male. Mi ha mandato a spigolare in greco classico :-) ma domani ci riprovo. Se mi ci manda pure in latino, spiattello quello che mi ha detto.
    Per quanto mi riguarda, continuo a pensarla come mario- e cioè che la tematica è funzionale alla narrazione e non viceversa. Il racconto proviene da un punto di vista straniato, per giunta da parte di un malato di sdoppiamento della personalità, con un fondo di morbosa inquietudine e di lucida violenza. Lui giudica secondo parametri suoi propri, che non dipendono da scelte valoriali ma dal disturbo di cui soffre. Non a caso, come notava Mapi, non ha un rapporto da vero educatore con il figlio, ed anzi, ogni qualvolta gli viene offerta l'occasione di esercitare un ruolo di guida, se ne sottrae. Nello stesso tempo, l'adozione di una prospettiva straniata, per giunta in crescendo, conferisce al racconto un che di allucinato, prima ancora che allucinante, come se la scena venisse osservata dietro una lente deformante. Non a caso, deforme è la materia trattata e deformati sono i valori dei personaggi, in un connubio perfetto fra materia e tecnica narrativa che, come credo di aver detto prima, è il veicolo che fa "arrivare" le emozioni, ancor prima del messaggio.
    In ogni caso, un libro che mi sentirei di consigliare, senza esitazioni.
    P.S. Cos'è 'sta 'storia che dobbiamo difendere questo spazio???? E chi ha mai parlato di toccarlo??? anzi, semmai bisognerebbe trovargli un posto più adeguato- in un mondo perfetto, di quelli con le giornate di 24 ore vuote ;-)

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  16. Ok, ancora non l'ho finito, ma sono ad oltre tre/quarti del libro. Che dire? Che quello che avevo letto fino alla prima parte era un po' insulso, almeno mi sembrava e quindi non capivo tutto il gran chiasso che si era fatto per questo romanzo. Poi all'improvviso la svolta... però, e non perché l'ho letto dai vostri commenti, io avevo presagito la fine dall'episodio di Paul con il negoziante a cui suo figlio ha rotto il vetro... e se la prima parte mi era sembrata insulsa, ricordandola alla luce delle nuove informazioni, Paul non mi era piaciuto affatto! E che dire di Claire che sapeva e non aveva detto niente e anzi aveva appoggiato il figlio (e non siamo alla fine del romanzo, ma appena a metà)? Vomitevole! E neanche la malattia di lei me l'aveva resa più simpatica o più nascosta... Meglio, molto meglio la cognata con gli occhi rossi all'arrivo!
    Che dire della tematica genitori/figli e cosa si arriverebbe a fare per loro? Non lo so, non mi sono mai trovata in una situazione del genere, ma per cose molto più piccole, mi sono adirata, ho passato notti insonni a parlare e cercare di spiegare cosa è giusto e cosa è sbagliato fare, ma certo non ho mai esposto i miei figli a sopportare totalmente le gravi conseguenze dei loro atti... Sta di fatto che mentre leggevo non sono riuscita ad immedesimarmi e questa è la pecca del libro, anche se devo ammettere che ad un certo punto diventa coinvolgente. Sì, sono d'accordo con Mario ed Alessandra la tematica è funzionale alla narrazione ed è forse per questo che non mi ha preso, benché consiglierei di leggerlo.

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  17. Questo libro aveva attirato la mia attenzione qualche mese fa, grazie ad un intervista rilasciata dall'autore.
    Poi me ne sono completamente dimenticata!
    Grazie per averlo recensito :-)

    In questa intervita Koch dichiarava di aver scritto il libro con l'intenzione di dare una sua personalissima risposta ad un fatto realmente accaduto nel 2005, a Barcellona.
    Fatto che lo aveva lasciato decisamente perplesso.
    E cioè, l'uccisione per mano di due quindicenni, di un senzatetto che dormiva nello spazio di un bancomat.
    Uccisione volontaria o accidentale, questa storia lo aveva colpito tantissimo, perché si era domandato come potessero aver reagito i genitori dei ragazzi davanti ad una notizia del genere.

    Se devo essere sincera non era tanto la storia in sé ad attirarmi, quanto i diversi punti di vista che avrei potuto trovare all'interno del racconto, considerando questo non tanto un libro da leggere per mio piacere personale, ma più che altro da leggere in quanto "letteratura sull'argomento".

    Vedo però dai vostri commenti che anche la sua scrittura merita una particolare attenzione, per cui ora sono incuriosita anche da questo punto di vista.

    Confesso che leggendo i vostri commenti sono stata tentata dal dire anche io la mia, ma non lo ritengo giusto visto che non ho ancora letto il libro.

    Spero che la creatura decida di commentare (ma solo se ne ha voglia) perché il suo punto di vista mi interessa tantissimo.
    Sono una fan! :P

    Spero di riuscire a leggere questo libro al più presto.

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  18. super ritardo e, premessa, non ho letto i commenti per non farmi "correggere" qualche idea...li leggerò dopo...ecco il mio:
    Ho letto questo libro in un giorno.
    Premessa doverosa: leggo velocissimamente. Da sempre. E se un libro mi prende particolarmente ,non riesco materialmente a staccarmi…ogni mia azione è accompagnata dalla lettura che si interrompe solo nel caso di oggettiva necessità…
    Questo per dire che fin dalle prime righe questo romanzo mi ha rapita. C’è anche da dire che questo è il genere di libro che preferisco: libri, a loro modo, “estremi” che descivono fatti inquietanti e obbligano a pensare. libri che scavano nei meandri dell’animo umano, ne colgono sfumature , scoprono violente pulsioni nascoste dalla parvenza di una vita normale.
    2 coppie si trovano a cena per decidere il futuro dei loro figli ( e il loro) colpevoli di ave r commesso un assurdo atto di violenza.
    Cosa saremmo disposti a fare per difendere il proprio figlio da un’accusa infamante come un omicidio? Serge, futuro primo ministro, sarà disposto a rinunciare alla carriera politica ? Paul , suo fratello trova forse una giustificazione nei comportamenti dei ragazzi a causa del suo passato …
    Le rispettive mogli :Babette che sembra tenere più a diventare una first lady a completamento di una vita trascorsa accanto ad un uomo che forse non l’ha mai amata e Claire , donna silenziosa e misteriosa , che dietro ai suoi modi gentili ed educati lascia trasparire, fin da subito, l’idea della donna ferma , sicura e determinata…
    Ognuno con i propri pensieri, le proprie riflessioni, le proprie debolezze.
    Mi affascinano le personalità contorte, “malate”. Spesso penso a quante volte ,ognuno di noi, si comporta in un certo modo,quando, in realtà vorrebbe fare o dire altro. Compresi pure i pensieri estremi, come scatenare la propria violenza repressa, nascosta, anche nei confronti di perfetti sconosciuti con l’unica colpa di averci semplicemente infastidito o averci fatto arrabbiare.
    Pensieri che nel momento in cui nascono vengono automaticamente regolamentati e sopiti dal nostro super ego che ci viene in aiuto , ci controlla, ci fa agire secondo la morale comune, l’educazione, la giustizia. Ma cos’è giusto? Farsi giustizia da soli è un concetto così sbagliato? E tra le tante persone vittime di persecuzioni e violenze è possibile ce ne siano state di veramente cattive da meritarsi quella tremenda fine? Le giustificazioni “dovute” ai figli, anche in casi estremi, sono la normalità? difenderli sempre e comunque anche di fronte all’evidenza, anche a costo di pagare noi personalmente il loro errore, è istintivo?
    Intorno a queste considerazioni ruotano i pensieri dei protagonisti e le conclusioni e le azioni alle quali arrivano, per assurdo, non sono quelle che mi sarei aspettata, o perlomeno non pensavo a “chi” effettivamente avesse fatto “cosa”.
    Perché la paura, la rabbia, la violenza, la comprensione, l’amore, si intrecciano tra i quattro protagonisti e la logica conseguenza del pensiero dell’uno sparisce ma diventa la conferma di un’azione per un altro.
    Affascinante pur nella sua "spietatezza". Intenso. Coinvolgente .

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  19. Altro tema interessante è quella della malattia di un genitore e del comportamento verso il figlio. Proteggerlo o metterlo di fronte alla realtà. Anche in questo caso Paul preferisce proteggerlo e non portarlo dalla madre ricoverata in ospedale.
    Serge invece si dimostra più responsabile e profondo (“Ma si può vivere con un simile peso?”) di fronte ad una Claire che si irrita di fronte al’uso della parola “omicidio”, come se i figli avessero fatto tutto tranne che quello, appoggiata come sempre da Paul (“Ho guardato ammirato mia moglie. Quando si arrabbiava diventava più bella”).
    D’altra parte c’è da porsi dal lato dei ragazzi che non capiscono la gravità del gesto che stanno compiendo (“loro vedono la cosa come dei bambini”), un gesto così violento ed atroce di cui non riescono nemmeno a rendersi conto. Come se fosse stato un semplice gioco.
    Un’altra frase che mi ha colpito è la seguente: “… ma non si può neanche sostenere che una senzatetto che si mette a dormire nella cabina di un bancomat sia l’innocenza in persona”, cioè il voler trovare un’attenuante, una giustificazione nel nulla. Cosa faceva di male la barbona? Niente. Che colpa aveva se non quella di un’esistenza sfortunata che l’aveva ridotta in quella situazione? Nessuna.
    La violenza di Paul scagliata verso il preside è solo la conferma della personalità malata di una persona che si riverbera inevitabilmente sul figlio. E non a caso è con la violenza che Claire invita Paul a fermare la conferenza stampa del fratello prima di provvedere lei stessa.
    E’ agghiacciante questo libro per la crudezza con cui mette il lettore di fronte alla violenza normalizzata e accettata. Ma l’autore raggiunge pienamente lo scopo proprio con l’accentuazione quasi esasperata di questi aspetti patologici e gravi, fortemente in contrasto con l’ambiente e l’atmosfera di una cena in famiglia durante la quale si cerca di dare un futuro ai ragazzi, futuro per sempre macchiato da quell’episodio gravissimo.
    Nel complesso merita un 6 e mezzo/7
    Fabio

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  20. Lo giuro, stavolta avrei voluto essere puntuale. Il libro l’ho letto subito, anche troppo presto rispetto alla data forse. Mea culpa.
    Parto da un giudizio globale. E’ un libro che colpisce per la durezza degli argomenti e per la leggerezza con cui vengono trattati. E’ una fonte quasi inesauribile di spunti di riflessione perché a parte il tema principale crea tante piccole situazioni di fronte alle quali è inevitabile fermarsi a pensare e porsi nei panni dei protagonisti e non trovarsi d’accordo con le loro scelte o opinioni.
    Il primo spunto di riflessione me l’ha dato più che l’incipit di Anna Karenina, la frase successiva “le famiglie infelici, e soprattutto le coppie infelici, non riescono mai a stare sole. Più testimoni ci sono, meglio è. L’infelicità è costantemente alla ricerca dei compagnia”. E’ triste, ma è così.
    La parte iniziale del racconto al ristorante è molto leggera, a tratti è divertente rivedersi in alcune scese “classiche” da ristorante. Il tutto trattato con quel distacco che mai lascerebbe supporre che quella sera il tema importante da trattare sarebbe stato il comportamento dei figli piuttosto che gli ingredienti e le portate di un menu. Anche se si potrebbe fare un parallelo tra la presentazione dei piatti (l’apparenza) e gli ingredienti particolari usati (la sostanza) con Paul che bada più a proteggere il figlio che a rendersi pienamente conto della gravità dell’accaduto.
    Altro tema molto interessante è quello dell’intromissione nelle faccende dei figli (leggere il diario, il cellulare…). Personalmente non ho figli e non so come mi comporterei al riguardo, ma credo che un genitore debba sempre essere vigile sui propri figli, per tutelarli ed indirizzarli.
    Altro spunto di riflessione viene dato dal rapporto con l’adozione e l’adottato. Quell’intolleranza che Paul nutre in maniera naturale verso il ragazzo proveniente dall’Africa che già lascia modo di presagire il suo punto di vista sul diverso sia esso un ragazzo in difficoltà o un barbone.
    Il fatto che lui non sia appieno nel ruolo di padre, di genitore e di educatore viene enfatizzato dal fatto che il figlio cerchi la mamma, e lui è consapevole di ciò. “Ma mamma era mamma. Mamma sarebbe rimasta per sempre mamma”.
    Il primo approccio verso il figlio, dopo la scoperta del malfatto è stato quello di assumere l’atteggiamento dell’ingenuo, di chi sottovaluta la situazione e non riesce a fare distinguere in questo modo al figlio la differenza tra il bene ed il male. Atteggiamento confermato nell’episodio della vetrina rotta. Il fatto che lui si immedesimi nel figlio, quasi assecondandolo e giustificandolo è grave ma anche comprensibile.

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  21. @ Anna Luisa e Fabio: mi è piaciuto come hai evidenziato la "violenza normalizzata ed accettata" ed il contrasto con la narrazione e l'ambiente soft in cui si svolge la serata...
    Non mi stupirei se in futuro ne uscisse una sceneggiatura per un film di Cronenberg, uno dei registi che secondo me riesce ad esplorare la violenza interiorizzata in situazioni apparentemente 'normali' mettendo in evidenza profondi risvolti psicologici

    silvia - pc

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